Bachi da pietra
Reset 2021 - Rock, Alternativo

Reset
12/08/2021 - 14:45 Scritto da Sergio Sciambra

Il reset dei Bachi ci presenta un gruppo rinnovato, con le armi vincenti di sempre, nuovi trucchi e qualche nuova incertezza

A distanza di un paio di mesi dall’uscita di ‘Reset’ dei Bachi Da Pietra, è il momento di provare a tirare qualche somma sulla nuova incarnazione degli insetti; partendo dal presupposto che per una creatura del loro regno è normale ogni tanto cambiare esoscheletro, come già hanno fatto passando dal blues terragno delle origini ad un hard rock muscolare, fino ad arrivare a rivendicarsi a una visione essenziale del metal estremo come nuova prospettiva folk per tempi apocalittici. Indossata la nuova pelle, l’ultimo passo sembra quasi nella direzione opposta ma in obliquo, e con una serie di finte che alla fine non allontanano troppo dal sentiero conosciuto. Eppure molte cose sono cambiate: con ‘Reset’ siamo oltre il ciclico cambio di muta, vicini ad passaggio di morte e rinascita che viene suggerito fin dalla copertina: nuova etichetta, addirittura quella Garrincha in cui molti potrebbero (evidentemente sbagliando) vedere l’antitesi di quel rock duro e puro che i Bachi rappresentano, nuovo booking, una nuova irresistibile estetica minimal-medioevale, per la prima volta un terzo membro accolto nella colonia, Marcello Batelli (Non Voglio Che Clara, Teatro Degli Orrori) al basso ed elettronica. Il baco esce dal bozzolo e guarda più da vicino i tempi correnti, con la solita smorfia ironica e beffarda che però adesso lambisce più sfacciatamente l’atteggiamento post ironico dell’ultimo decennio social. Giovanni Succi ha da tempo mostrato una sottile capacità profetica leggendo con ottimo tempismo future egomanie globali e nuovi medioevi; adesso, in quello che qualcuno già chiama reset globale, lancia nuovi vaticini di disillusione scritti in tempi non sospetti (Comincia adesso) e intanto guarda in faccia il pubblico (Ciao pubblico), il suo e quello degli altri, si interroga retoricamente sulla propria storia, sulla musica e tutto quanto (Di che razza siamo noi). È un ritratto cinico e impietoso, a tratti giudicante, mitigato però dalla voglia di giocare con i preconcetti e i tabù del pubblico, ma anche con l’identità di una band che ha cambiato pelle e mai lineamenti.

Un gioco in cui il trio prova a guardare ad una forma di rock sempre più quadrata e strutturata, consapevole del suo peso specifico, aprendo a nuovi sentieri di orecchiabilità e melodia. Il senso di un disco del genere si trova probabilmente qui, ma in questo binomio ‘Reset’ trova anche i suoi passi più incerti: Meriterete, ottimo come singolo di lancio spiazzante, per anticipare a suon di autotune e indie rock un album che poi va da tutt'altra parte, soffre proprio di quella sindrome del “né carne né pesce” (per rimanere nella simbologia animale) che spesso è invece un punto di forza dell’ex duo. Anche Pesce veloce del baltico, ammiccando alla retromania pop tra hard rythm n’blues ed elettronica, mette tanta (di nuovo) carne a cuocere ma non lascia molto nella sua scia. Un po’ democristianamente, diremo allora che i momenti migliori sono quelli dove pezzi di vecchie mute vengono raccolti, rimessi a nuovo e riassemblati come in un mostro di Frankenstein autocostruito. Parliamo insomma dei brani in cui la prosa di Succi ha più spazio per srotolarsi tra sussurri e versi imperiosi, di lanciare il suo incantesimo inimitabile di parola-suono-ritmo sopra tappeti minimali e ammiccanti in stile ‘Quarzo’ o sui riffoni era ‘Quintale’, quando il trio gioca con la grammatica blues, il rap, l’ostinazione metal, ma forte di un senso melodico e dell’arrangiamento rinnovato. Anche grazie all’aggiunta del basso e di una spolverata di elettronica, c’è infatti una tridimensionalità che riesce a spaziare da groove morbidi a tirate dritte da dancefloor deviato (Bestemmio l’universo), dal crossover noir (Il rock è morto) al post-stoner melodico à la Fumo), ma quando in Il rock è morto riesce a prendere per il culo i boomer apocalittici del ruock senza darla vinta agli integrati del nuovo verbo musicale. Andando a braccetto con l’esistenzialismo di quella Di che razza siamo noi, probabilmente l’anima del disco insieme alla sofferta confessione dell’insetto di Umani o quasi, che tra resistenza ad oltranza e martiri cristologici sembra dare una nuova chiave di lettura al suicidio rituale della copertina.

Alla fine, anche se ‘Reset’ si presenta come un disco paraculo è invece un album tremendamente sincero, dove i Bachi Da Pietra si mettono a nudo in una maniera diversa dal solito e si mostrano per quello che sono: un gruppo maturo, che probabilmente si è lasciato dietro una parte dell’imprevedibile energia ctonia degli esordi per guadagnare in pulizia, potenza e precisione del suono e, a volte, della parola. L’autoritratto che ne esce piacerà ad alcuni seguaci e meno ad altri, ma questo probabilmente a loro interessa poco. Anche a noi interessa, soprattutto, vedere dove andrà la band con questa nuova formazione e il suo nuovo spirito, verso dove si può proseguire, soprattutto in sede live, una volta compiuto il reset.

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