In silence, il nuovo lavoro in studio di Mario Bajardi, è uno splendido connubio tra impostazione classica e predisposizione compositiva moderna, sia in ambito concettuale che a livello sonoro. Queste le impressioni scaturite da un ascolto quieto e rilassato ma, al contempo, consapevole della posta in gioco per un corpo sonoro che appare di semplice fruizione ma che in definitiva, scrutando nel profondo della sua singolare essenza complessiva, propone continui cambi di rotta e innumerevoli inviti a banchetti emozionali.
Violinista nella fattispecie ma, di fatto, sapiente compositore contemporaneo, Bajardi offre all'ascolto un album denso di architetture sonore in continuo andirivieni tra riflessioni animistiche e bordoni acustici che si offrono a ogni tipo di genuina manipolazione elettronica. È molto vasto l'oceano nelle cui acque sguazzano miriadi di professionalità da pura colonna sonora per audiovisivi, campo al quale anche Bajardi appartiene. Ma è la cristallina curiosità e l'accorato senso di esplorazione che fa di lui un esempio di sincerità artistica sposata fedelmente a un'attitudine per la ricerca con pochi pari almeno da questa parte dello stivale.
Dimostrano questa importante caratura, ad esempio, le strutture ambient di partenza che si lasciano ammaliare da incursioni elettroniche sia di fattura drone acusmatica (viene in mente anche una parte del lavoro di Aidan Baker sulla manipolazione di strumenti convenzionali) che di taglio sperimentale di matrice industrial. Ma concorrono a cesellare il tutto anche frammenti new age e tappeti ritmici in supporto a impostazioni melodiche di provenienza quasi 'nineties' (vedi il marchio Enigma di Michael Cretu), che non esitano però a scontrarsi con oscuri romanticismi d'oltremanica e influssi anche stranamente orientaleggianti (come nei respiri di Magma che a tratti guardano al Susumu Yokota di Sakura). Splendido è l'incedere sinistro di Harlequin e Aleare, un po' alla Nine Inch Nails di Ghosts – nell'impostazione emotiva generale – e un po' – neanche a farlo apposta – alla Cortini solista analogico, atteggiamento che trova soluzione retroattiva in scia '80 in God is burning ma passa anche per l'etereo classicismo di Ringing e per le strutture techno e IDM di Lie in the sky.
Una menzione particolare merita anche What colour is God, meravigliosa suite finale di 36 minuti (assente qui per motivi tecnici ma godibile nelle versioni di In silence su YouTube o Spotify) dalla dedizione compositiva di matrice più classica ma con intenzioni spirituali ben precise per quanto frammentate, vera e propria opera moderna dai tratti barocchi annidati tra dissonanze contemporanee che ne fanno una sorta di film sonoro sulla ricerca del sé attraverso mille sfumature esistenziali. Perché, in effetti, In silence è proprio questo, un album perfetto per attraversare ansie quotidiane e vincere la paura dell'esserci attraverso flussi spirituali di grande impatto sulla quotidianità materiale.
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