Per parlare de La terza estate dell’amore si deve prima fare un passo indietro di poco più di due settimane. Il 5 maggio è uscito a sorpresa il primo singolo di Pan Dan, la fata dell’universo di Ivreatronic. Primavera è un brano che nasce da un messaggio vocale, da un testo scritto sulle note del telefono e canticchiato senza impegno in un momento di rilassatezza. Ma l’artefice di tutto, produttore e stimolatore di questo splendido fiore un po’ spigoloso, è Marco Jacopo Bianchi. Il brano inizia dicendo “Ci davamo appuntamento lì/ lì, al buio”.
Questo appuntamento al buio è arrivato. Sono bastate delle coordinate geografiche divulgate il 12 maggio, la mattina per il pomeriggio. Tra queste l’indirizzo di uno dei centri della musica milanese per eccellenza. “Colasanti dice che è il caso di andare”. Non fidarsi sarebbe da scemi. In effetti abbiamo assaporato il vero arrivo della primavera. Nel prato antistante il vialetto principale del Circolo Magnolia c’erano due grandi casse. Stavano suonando La terza estate dell’amore, il quarto album di Cosmo. Seduti su quelle piccole sdraiette da spiaggia, con gli occhiali da sole addosso per la luce accecante del sole calante, sembrava di stare in una dimensione sospesa. Un po’ per l’effetto del primo vero caldo, un po’ perché la sede del Mi Ami era ancora chiusa e dall’aspetto fantasmatico, un po’ perché era in corso una pioggia di pioppi – pardon pappi – bianchi, che facevano pensare di essere nel mezzo di una nevicata natalizia. E un po’ Natale lo era per davvero.
Per quanto si possa odiare dicembre – con tutto quello che ne segue – un regalo del genere è degno di una festività speciale, perché il ritorno di Cosmo è un qualcosa che va festeggiato. Dunque, come suona questo quarto disco? La terza estate dell’amore è la conferma ufficiale di parecchie cose, in primis dell’importanza di Marco Bianchi in quanto musicista ed intellettuale. Avevamo ricevuto qualche piccola informazione sulla natura e la genesi dell’album durante le puntate di Radio Indimenticabile, o in sporadici appuntamenti in diretta durante il primo lockdown. Eravamo pronti a un grande passo in avanti, e questo è avvenuto.
Quello che colpisce al primo ascolto è la possenza del suono. Arricchito da campionamenti di ogni sorta – flauti, campanelle e strani strumenti a corde risuonano nella splendida ballata conclusiva Noi – si prende gioco di chi ascolta percuotendo l’impossibile e gonfiando all’estremo i bassi. La completa fusione tra techno e cantautorato presente in Cosmotronic ha preso una forma ancora più radicale, e lo capiamo fin dalle prime note della traccia d'apertura Dum Dum, o da Mango, già una hit indiscussa. Sarà un viaggio fatto di colpi e di parole, alcune da schivare con cura, per evitare di farsi stordire. Le “cazzate” di cui Cosmo si prendeva gioco – dopo esserne stato succube – non sono più nemmeno degne di essere raccontate. Il mondo è cambiato in modo radicale, e c’è solo bisogno di cantare l’essenziale, l’alleanza dei corpi e la spontaneità animale. In quest’ora di musica non c’è controllo, freno o ricerca di lucidità, solo una grande trasparenza emotiva. Emergono gli spigoli e le provocazioni di una persona che continua ad elaborare un’idea di vita il più possibile svincolata, il più possibile alimentata dal piacere, salvifico sempre.
In questo momento la sua “nave di pazzi” deve trovare un equipaggio che sia disposto al trasporto, per inaugurare una nuova stagione umana che metta al centro di tutto il grande rituale collettivo. “Io ballo per distruggere chi sono”, è questo il manifesto del nuovo Cosmo per il futuro, o meglio per le strade possibili da percorrere. Le parole non sono più incastrate per dare vita a un discorso logicamente lineare. C’è tanta libertà ne La terza estate dell’amore. Libertà lirica e confusioni, gelati e frutti proibiti, immagini poco chiare ma significative – “Dietro la farmacia c’è la cattedrale” -, fino al limite quasi futurista raggiunto in Fuori, vero e proprio bombardamento realizzato in collaborazione con Silvia Constance.
Nonostante sia pervaso da questa elettronica singhiozzante e irriverente il modo di comporre di Cosmo non è mai stato così vicino a Battisti, per l’uso ripetuto del falsetto, per l’aura melodica che avvolge alcune frasi, per la sospensione quasi celeste e giocosa con cui le note si avvicinano. Le carezze arrivano nella seconda parte, quando Gundala apre in due parti esatte il cuore di Marco, che si espone in una dichiarazione d’amore umana e nuda come raramente se ne sentono, e fa quasi paura. L’autotune sporca la voce, ma la inchioda ancora di più alla sua concretezza. Vele al vento è già un classico, perché condensa nei suoi otto minuti lo stile di un vero autore, senza cadere nell'autocompiacimento, o in un esercizio. Nella sua struttura ci si sente del tutto a proprio agio, riconosciamo tutto. Si possono levare gli ormeggi, e cedere alle ultime onde senza curarsi di andare troppo lontano. Lontano è dove vogliamo andare, commuovendoci per quanto sia vivido questo modo di fare politica. Chissà se questa terza estate verrà per davvero. Per il momento facciamoci scavare da questo splendore.
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