Un viaggio di mente e corpo verso esperienze sensoriali al limite del trascendente. Non chiamatelo 'soltanto un Ep di remix'
Diverse celebrità hanno scalato le classifiche anche attraverso lavori di manipolazione altrui confluiti in album gemelli, singoli o extended play per quanto, spesso e volentieri, si trattasse di ambiti di provenienza che di manipolazione, specialmente in termini di standard da produzione, si nutrivano fin dal principio. Se, invece, ad essere sottoposto a vivisezione strutturale è un disco di post-rock indipendente, allora il risultato può essere il disvelamento di un intero mondo sotterraneo nascosto dalle direttive di genere ma presente e vivo nell'iperuranio dei processi di scrittura.
Quello che hanno tirato fuori i torinesi Moonlogue, facendo remixare a piacimento alcuni brani di Sail Under Nadir, il loro primo interessantissimo disco in studio, riguarda cinque rivisitazioni la cui nuova veste sonora non si discosta affatto – anzi la ingloba – dalla carica emotiva fornita dal concept interstellare – ma fortemente radicato sulla realtà terrestre – dell'album di partenza. Il risultato – neanche a farlo apposta, vista la storia raccontata dall'esordio – è un vero e proprio viaggio onirico verso altri pianeti sonori alla ricerca di soluzioni emozionali che, però, sono da scoprire nel qui e ora della propria esperienza sensoriale.
La differenza tra le rivisitazioni di Remix Sail Under Nadir e le realtà originarie è netta, ma evidenzia quasi alla perfezione la sapiente capacità di scrittura che sta alla base di tutto. Mantenendo il tessuto sostanziale cucito sugli scheletri delle composizioni, i Moonlogue operano una splendida miscela di generi e stili a loro solo apparentemente estranei, in realtà molto ben architettati per conferire all'ascolto una diversa soluzione di coinvolgimento. L'apertura di Estéban ne è un valido esempio, intrisa com'è di passionalità Ulver nei frangenti elettronici meglio dotati di melodia ma che non disdegnano un po' di sana techno e IDM. Sorprende un bel po' anche la sua traduzione in dark/death ambient mista a elettro-doom con escursioni post-rock in direzione collage alla Art of Noise, mentre Rainyard gioca a fare i Radiohead ma, in barba alla delicatezza originaria, si scontra frontalmente con una graffiante sostanza synthwave iniettata nelle vene di un Aphex Twin in overdose – salvo poi lasciare il posto a una sua rivisitazione più prossima alla versione originale ma trattata con più delicatezza Mogwai nell'aggiustamento dei suoni – e Zwangslage guarda addirittura ai Porcupine Tree lisergici in trip da acido di Voyage 34.
Sarà pure solo un esperimento di remix in attesa di nuove produzioni, ma la voglia di premere il tasto play, ancora e ancora, è proprio qui dietro l'angolo.
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La recensione Remix Sail Under Nadir di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-11-03 17:45:18
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