S'intitola Distanze il primo disco solista di Luca Ottoz, cantautore della classe '80. Un rocker di lungo corso, che si distingue anche alla chitarra e al piano.
Un album rude, crudo che parte subito forte con batteria, basso e chitarra distorta in vista per una corsa al fulmicotone che crea subito adrenalina, con un bel solo finale. Notevole la capacità di creare dinamica all'interno delle canzoni, come succede in Sfidando il sole, che parte come una balla acustica per poi esplodere nel ritornello e rivuotarsi parzialmente per poi ancora tirare fuori il massimo dei decibel come una marea che avanza e arretra con grande impatto sull'ascoltatore.
Interessante la combinazione del canto con inserti parlati come in Vocovid, dove la psichedelia, rimasta sotto traccia finora, esce fuori allo scoperto in un elenco di "parole chiave" da pandemia di covid19. Una sorta di "Quelli che…" di jannacciana memoria, ma in versione pandemica e ironicamente ancora più abrasiva. Bella la ripartenza, che da carica e al tempo stesso inquietudine grazie al sapiente arrangiamento dei sax.
Non mancano canzoni più introspettive come Se fossi te, dove l'arrangiamento si ammorbidisce e lascia più spazio nel mix a una voce che, forse per mancanza d'abitudine, sembra un po' spaesata, ma va considerata anche questa una cifra stilistica che può fare la differenza.
Si arriva a sfiorare il punk in Psicosi potenti, dove la distorsione della chitarra è padrona delle strofe, così come il phaser lo è del ritornello in cui il tempo si dimezza. La batteria è lineare, ma pulsa a dovere insieme al basso e tanto basta per veicolare il messaggio.
Distorta la voce, distorta la chitarra, aggressivissimo il basso, metronomicamente lenta, ma super densa la batteria in Epopteia. Sembra di stare dentro una canzone dei Marlene Kuntz, ma meno carica e più essenziale, stesso discorso per Follia, dove la ritmica distorta si incrocia a un arpeggio pulito e tremolante che insieme al jumpin sui fusti della batteria e di un basso profondo rendono subito chiaro il sound di riferimento. Chiusura ad effetto, con una ballata elettrica (Il diavolo) dove ci sono soltanto chitarre elettriche e voce. Finale dove si aggiunge il basso, il tamburello e la grancassa, che creano un'atmosfera conturbante.
Distanze è un disco solido, fatto di poche note ma pesanti e ben posizionate a costruire un muro sopra il quale stanno dei testi importanti, contemporanei e socialmente ruvidi. Forse si è osato poco in fase di missaggio, dove si poteva far esplodere ancora di più il sound, ma è anche vero che l'ambient generale è volutamente pesante, scuro e tentare di "pulire" i suoni è un rischio non da poco.
Al livello tecnico non ci sono virtuosismi da segnalare, anche perché il genere non lo richiede e i pochi soli di chitarra presenti sono più un collante tra un modulo compositivo ed un altro, che una volontà di aggiungere qualcosa di significativo comunicativamente alla canzone. L'ascolto risulta molto interessante perché la tracklist è pensata molto bene, con grande attenzione ai cambi di dinamica, cosa che favorisce il mantenimento della soglia d'attenzione.
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