Dal profondo Veneto ci arriva alle orecchie questo nuovo progetto, a cavallo tra il jazz e la sperimentazione slow-core. Capitanato da Giacomo Zanus, chitarrista, ma completato nella formazione da Giorgio Pacorig, Mattia Magatelli e Marco D’Orlando, KORA rispecchia benissimo il nome che i suoi componenti hanno deciso di assegnargli. La parola tibetana indica un percorso circolare intorno a zone sacre di ritualità. Tolta la componente religiosa, rintracciabile o meno a seconda della sensibilità di chi ascolta, il palese intento musicale che il quartetto mette in atto è proprio quello di girare intorno a una struttura, a un’idea, sfruttando com’è possibile una grande qualità d’esecuzione, e in qualche caso anche con guizzi compositivi notevoli.
Un picco è sicuramente raggiunto alla seconda traccia, Something Lost, Something Gained, che nonostante la mancanza di particolari distorsioni sembra entrare convintamente nel terreno di un particolare post-rock, forse così interessante per l’incursione del contrabbasso suonato con l’archetto. Poi il disco inizia ad appianarsi maggiormente sul jazz e sui suoi schemi, riuscendo lo stesso però a mantenere dei notevoli margini di libertà. È durante Prayer che il dialogo tra i due strumenti ritmici raggiunge grandi attimi di intimità energica, così come in And Then We Looked up at The Stars l’apporto del pianoforte porta un tono di classicità a una traccia che per la durata potrebbe sembrare un intermezzo, ma è un tassello fondamentale all’interno di KORA.
Tolti alcuni momenti poco concreti e fumosi in modo eccessivamente manieristi o il disco ideato da Giacomo Zanus porta una bella boccata di complessità stratificata in dettagli estremamente curati, proprio perché spesso lasciati fluire in libertà. Un grande ascolto a cui dedicare un’ora del proprio tempo.
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