Discografici! Qui dentro ci sono due o tre brani che prodotti da gente furba mandavano a casa i Maximo Park, i Kaiser Chief, gli Art Brut. Pussa via. I Masoko hanno certe canzoni che gli inglesi se le sognano. E le suonano da tanti anni (1998), molto prima che ci volessero una cravatta e i movimenti a scatto per accalappiare bambine e fighetti. Ma come si fa a non innervosirsi ascoltando un disco che poteva essere un capolavoro e che invece è un progetto lasciato a metà. Registrato in sala prove da quattro scapestrati che si improvvisano autoproduttori con mezzi di fortuna e la presunzione tipica di noi romani. E per quanto il confine sia ormai labile e futile, questo è un demo, non un vero disco. Registrato e prodotto così così, con canzoni bellissime abbandonate nell'approssimazione. Batteria punk funk che fa stomp come un pallone supertele. Basso così sottile che lo puoi suonare in un tweeter. Voce e controcanti fiacchi. Ma soprattutto arrangiamenti monotoni e stanchevoli in un genere che ha bisogno del tiro. Non è colpa loro, ma che peccato. Dov'è la Mescal? E la V2? E Cecchetto? Daje su.
Compiuto lo sfogo, resta solo da applaudire Snowdonia per aver messo discograficamente al mondo i Masoko, probabilmente una delle indie-cose migliori sfornate dalla capitale negli ultimi anni (non che ce ne fossero poi troppe a dire il vero). Se qualcuno perde tempo e risorse ad accudirli, forse ha per le mani una band fenomenale. Perchè "Ferrari" poteva essere la "Vespa Special" dell'indierock. Ma è tutto il disco che è colmo di canzoni catchy e alla moda, nel senso migliore del termine, se esiste. Così, nel 2006, i Masoko si sono ritrovati ad essere commerciali senza averlo scelto. Da anni si ispirano a Joy Division e Gang of four, virandoli sul lato più pop e giocoso della faccenda.
Con quel gusto un po' sinestetico tra schizofrenia e melodia, innescato da un cantante che vocalizza in sinèresi e si esprime come un Camerini in versione Interpol od un Faust'O scanzonato in riva al Tevere. Sullo sfondo tante chitarre velocissime e geniali. Aspre e fastidiose sullo strofe, ma gustosamente melodiche sui ritornelli. Poi quella ritmica tunz-dance e la capacità di alternare momenti di rock cadenzato a nevrosi in stile libero, con testi surreali, snob e strampalati ma buoni anche per l'italiano medio.
Dalla stroboscopìa ballereccia di "Disconite" all'appiccicosità storto-melodica di "Comfort". Dal meraviglioso poprock schizzato di "Prima colazione", alla psichedelia fighetta di "Cool", fino all'incalzante new wave di "Costretto" o il singolaccio del travestito "Alfonso". Insomma, seppur mal riuscito, ripetitivo e talvolta stucchevole, "Bubu 7te" è un gioiello di idee e personalità. Punto di partenza per una band che dal vivo è pure un portento e che in un mondo migliore sarebbe famosa.
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La recensione Bubù 7te di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-04-14 00:00:00
COMMENTI (36)
esticazzi
invece si
no
ma è vero che stanno registrando con una major?
inserire un nuovo chitarrista nella band non vi salverà il culo dal piattume che suonate
Cos'e' sta merda?
ma mi spiegate come avete fatto a registrare un album così male?
avevate solo un canta tu rotto? porcodue che merdata!!!!
registrato malissimo, ma con che faccia si vuole propinare un lavoro così scadente al pubblico...
spararsi le pose sul palco è una cosa che tante band indie dovrebbero imparare a fare pe divertirsi più loro e far divertire di più la gente
e poi i masoko sono alla moda perchè la moda ha scelto di passare dalle loro parto, suonano queste canzoni da anni
viva i masoko!
veramente gli stuka sono 10 volte meglio dei masoko!!!!!! forza stuka!!!!