Malasarta, l'ep di Malasorte, ha rappresentato per me la quintessenza del concetto di "diviso a metà". Già perché da un lato, appunto, ho semplicemente adorato le doti interpretative, gli arrangiamenti e il mood generale di Malasarta, in particolare modo nella canzone Febbraio, che reputo, senza alcun dubbio la migliore delle quattro. Tuttavia si parlava di sentimento/approccio diviso a metà giusto? Ecco, allora tocchiamo adesso la parte destruens: i testi o non li ho capiti io o mi sono parsi di una banalità, sinceramente, non meritevole della voce e delle già citate doti interpretative di Malasarta, sostenuto da buoni tappeti elettronici.
Un vero e proprio peccato perché il materiale artistico, l'humus anche culturale c'è ed è ben presente nella parabola di Malasarta come confermano le sue stesse parole: "Porta con sé un nome scomodo, i retro pensieri ci conducono nell’immediato a qualcosa di atavico , oscuro , malvagio. In realtà è tutt’altro! Malasarta è la dea Madre , è la natura stessa , che ci donato un vestito imperfetto".
Quindi l'artista c'è, è vivo e lotta in mezzo a noi ma poi arriva un pezzo (e soprattutto un testo) come Il lungo viaggio ed è naturale che sul mio viso si stampi un'espressione a metà strada tra l'interrogativo e il deluso.
Mi auguro davvero che Malasarta, nel suo prossimo album (magari sulla lunga distanza) possa trovare un equilibrio, in chiave migliorativa, tra testi e musica: perché, come ribadito prima, gli ingredienti ci sono. Adesso, per confezionare un piatto da leccarsi i baffi (e le orecchie), bisogna non sbagliare le dosi. Ripeto: gli ingredienti ci sono tutti.
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