Chi palata! (per i non calabresi: che botta!) quando il rap torna alle sue origini old school. Proprio nell'anno in cui il gruppo-scuola Sottotono torna dopo ben 10 anni con un nuovo disco, anche i Keepalata provano a mescolare le origini del rap con l'elettronica contemporanea. Siamo qui si intitola l'album del collettivo indipendente, formato da DonGocò (Antonio Turano), Cario M. (Mirko Cario), Brigante (Lorenzo Curcio) e Libberà (Liberale Piraino), pubblicato da Aldebaran Records. E proprio come Tormento, la voce dei Sottotono, il gruppo, oltre alle influenze musicali dirette verso la West Coast, ha in comune le origini calabresi.
Troviamo dei versi nel loro dialetto in Gangstop, brano che potrebbe appartenere all'inedito e curioso sottogenere gangsta-rap calabro. Un rap che torna a visitare la sua vecchia scuola, ricordandoci i suoi tratti più caratteristici. Come la voce femminile soul nel ritornello di Goblin, tratto distintivo dell'hip hop di fine millennio alla Fugees, figlio del funk e dell'rnb. La prima traccia, Bound, segue invece un sound contemporaneo: un pezzo elettrorap più vicino alle ultime tendenze, come il King Marracash che proprio alla fine di quest'anno sta spopolando con la sua ultima uscita. Non mancano riferimenti al nostro presente, come la pandemia e la conseguente solitudine, raccontata in Uroboro. Il disco si chiude con Know the name, il brano più internazionale del disco, che spinge molto sull'autotune.
Il linguaggio dei testi è crudo e diretto, rimarcando (forse troppo) il vecchio cliché della rivalità. Probabilmente qualche parola in più sulla condizione calabrese (e di parole ce ne sarebbero, ve lo dice un calabrese) avrebbe dato al disco un valore ancora più autentico e personale. Rimane pur sempre un ottimo lavoro di equilibrio tra echi vintage e sperimentazioni più attuali, una sorta di lancetta schizofrenica utile per ripercorrere il cammino del rap fino ai nostri giorni.
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