Valentina Lupi
Non Voglio Restare Cappuccetto Rosso 2006 - Cantautoriale, Rock

Non Voglio Restare Cappuccetto Rosso
11/04/2006 Scritto da Pseudo

Non ditemi che Valentina Lupi non è brava.

Ha una voce che è un bisturi, dai. Non è straordinaria (nel senso di fuori dal comune) ma ha un'escursione sonora piuttosto ampia, tono lievemente nasale ed affilato, intonazione tagliente e bastarda. Lo sa, ci gioca, la soppesa come una diavolessa (“Non Voglio restare Cappuccetto Rosso”, “Casa di Bambola”). In pratica è la voce che ogni rock-band – certo, certo: rock-band melodica, easy insomma - vorrebbe avere a disposizione. Quindi, prima c’è la voce della Lupi.

Poi c’è “Non Voglio restare Cappuccetto Rosso”, disco d’esordio sul quale c’era parecchio fermento nella scena romana. Che è un esordio di grande livello, se non col botto. E’ un esordio di quelli totalizzanti – e anche un po’ spiazzanti -, nel senso che c’è già tutta l’artista, dentro. Paradossalmente: ha poco da crescere, Valentina Lupi. Può solo trovare pezzi più o meno felici, esteticamente. Ma è già lei. Senza tentennamenti. Solo 21 Anni”, “E’ Questo Il vero”, “Fiore Del Male” sono pezzi di grandissimo impatto, trascinanti, forti. Pur nella loro apparente semplicità strutturale – il disco è un continuo ma azzeccato gioco di variatio sulla forma rock-ballad - sono arrangiati e curati fin nel minimo dettaglio. Non c’è nulla da dire. Deve convincerti o no. Puoi deglutirlo con molta (nel caso del sottoscritto) o poca facilità – e anzi, se gli riservi qualche ascolto in più ti entra ben sotto l’epidermide. Ma c’è, per pseudo-filosofeggiare, la Sostanza.

La bimba mitraglia come un’assatanata, c’è poco da fare. La ritmica la sostiene spingendo sulle pelli. Trovando, però, anche scene di grande melanconia (come dice lei) e di fuliggine (“Satura”, “Qualcosa Di Agrodolce”). Dimostrando di avere a disposizione una tastiera di tonalità piuttosto ricca.

E poi, attenzione: l’album è interamente scritto, nei testi (antiretorici, deo gratias, a parte qualche trascurabile episodio) e nelle musiche dalla Lupi. Oltre che arrangiato con l’aiuto di Matteo Scannicchio (perfetti i suoi lavori a piano, synth e rhodes) e Corrado Maria De Santis, dei Cappello a Cilindro.

“Come Scriveva Benni”, “Il Giorno Del Samurai”, “Il Modo Naturale”: non c’è un pezzo fuori posto. Ammiccano (“In Modo Naturale” è eccezionale), urlano, strizzano e sviscerano l’occhio, l’odio, l’amore, le unghie mozzicate, i funerali, gli ospedali, i battiti, gli sputi dei vecchi, le imprecazioni, le spiagge, la marmellata. “28 gennaio ’96” e “Voglio Essere Felice” – in un dicotomico scambio di rimandi – giocano a rinfrescare la ballad-song fra forza epica di altri tempi e – la seconda – approcci più carichi, sincopati e decisamente rock. Buoni per i nostri, di tempi. Non una parola di più. Basta l’ascolto.

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