Èlia (Lalli e Pietro Salizzoni) Èlia 2006 - Cantautoriale

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L’immagine più forte che ho di Lalli è quella che ha tratteggiato in “Nemmeno Il Destino” di Daniele Gaglianone, film di un paio di anni fa. Nella pellicola interpretava il personaggio di Adele Stellin, una donna a disagio nel proprio ruolo di madre, preda di una forte depressione e sul filo del delirio. La grande abilità di Lalli consisteva nella capacità di incarnare con una forza spropositata la fragilità di quella donna, riuscendo a riempire fisicamente lo spazio del personaggio, divisa tra il grande amore per il figlio e l’incapacità di affrontare con decisione la realtà, sempre di fronte a giorni che “sono solo appesi a un filo”.

Grazie alla propria voce, quella stessa fisicità della fragilità, Lalli riesce a restituirla anche in disco. Una voce che a parole è difficile spiegare: significativa come poche, è da sola in grado di dare un colore e un tono a tutto ciò che incontra. E se incontra musiche e parole pressoché perfette, l’unico risultato possibile è un disco bellissimo.

E bellissimo, di fatto, è “Élia”, parola che è allo stesso tempo titolo dell’album e nome che d’ora in poi farà da cappello agli artisti che hanno suonato in queste nove tracce, disegnando un pop d’autore in grado di raggiungere un equilibrio intenso e raro. Le musiche si mettono al servizio delle parole e le parole si impegnano a non prevaricare sulle musiche. Per la sensazione di intimità trasmessa, il pensiero va ai Non Voglio Che Clara, pur con un approccio ai brani meno drammatico rispetto al gruppo veneto.

Sobrietà ed equilibrio sono davvero le parole chiave di questo lavoro ed è paradossale che il concetto stesso di equilibrio sia fortemente negato (ma inseguito?) nelle parole delle canzoni, che realizzano ritratti di inquietudine e provvisorietà, di situazioni appese a un filo, come già citato in precedenza e come cantato in “Canzone Per Adele”. Si tratta di una insicurezza endemica, che non risparmia nulla e va a toccare anche quelli che si presupporrebbero essere appoggi saldi, come il riconoscere lo sguardo di chi si ama, e invece “i tuoi occhi all’improvviso / li riconosco a stento / e la tua voce ed il tuo viso / svaniti in un momento”. L’incertezza, o meglio la certezza di non avere sicurezze, emerge forte anche nei sentimenti contrastanti dell’attesa di una condizione che sarà destinata a finire: “Mettere un giorno / in fila all’altro, / ognuno un piccolo mistero, / che svela a poco a poco il suo respiro, / fino a che un nuovo inverno / sarà arrivato, / ma, quel giorno, / Alberto sarà già ripartito”.

Del resto, la filosofia dell’album è già dichiarata nel pezzo di apertura: “I gatti Lo Sapranno”, poesia di Cesare Pavese messa in musica, con quel suo intreccio di solitudine e di consapevolezza del quotidiano è un ritratto eccellente di tutto ciò che seguirà. La quadratura del cerchio, poi, la compie la voce di Lalli, grazie alla fisicità sorprendente di cui si parlava nelle prime righe e alla capacità di infondere un grande calore ad un disco autunnale fuori stagione, fragile e prezioso.

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La recensione Èlia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-05-01 00:00:00

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