Bugo
Sguardo Contemporaneo 2006 - Cantautoriale, Lo-Fi, Demenziale

Sguardo Contemporaneo

Se sei cresciuto ascoltando demo registrati nei cessi di tutta Italia, come fai a non volere bene a Bugo. Uno che ha strapazzato l’estetica della bassa fedeltà e ci ha costruito un piccolo mondo indipendente, tracciando un nuovo modello italiano di approccio alla faccenda. Nato come copia carbone di Beck, ha progressivamente delineato uno stile in cui ha messo così tanta poesia e personalità che ormai in Italia si copia direttamente Bugo, perché oltre al rock storto, lui ha studiato un pensiero laterale di canzone d’autore. Improbabile e cialtrone. Scapestrato e curioso. Geniale, forse. Ma che ve le dico a fare queste cose. E’ come raccontare l’Uomo Ragno o Mister Spock. Lui è Bugo, uno degli eroi del grande indie-fumetto italiano. Odiato, amato, vilipeso, idolatrato, maltrattato, deriso, disgregato. In fondo, da grandi poteri derivano grandi responsabilità. E lui ormai fa parte della storia alternativa italiana degli ultimi dieci anni, nel bene e nel male. Sguardo Contemporaneo è il suo nuovo disco. Ancora per la Universal, in attesa che la sconfigga e torni vincitore. Intanto ci sono queste registrazioni con Giorgio Canali e le sue chitarre dure dure. Un lavoro che presenta canzoni meno istrioniche e stravaganti del passato, ma intense, a tratti coinvolgenti, pure un po’ romantiche. Alcune belle, alcune orribili. Qualcuna imperdibile, qualcuna tanto per fare Bugo. Con suoni acidi e spigolosi che disturbano i fantasmi di Celentano, Battisti e Beck. Poi la solita mescolanza di rock e pop non necessariamente lo-fi. Ciò che stavolta sembra aver preso una piega diversa è l’approccio alle tematiche ed alcuni atteggiamenti da cantautore serissimo. E’ un dato di fatto che Christian sia invecchiato rispetto agli esordi. Bisogna capire quanto sia realmente cresciuto. Le assurdità demenziali restano, ma ormai il suo sguardo ciondolante ed entusiasta assume indubbiamente una maturità più complessa, con una sensibilità che si rivolge a nuovi dettagli della quotidianità ed attinge anche ad un esistenzialismo più ampio. Il disco si evolve progressivamente, svelando un lato più adulto. Quasi raffinato (quasi). Riflessivo. Persino un po’ drammatico. Bugo ha qualcosa in più da dire rispetto al passato, una sofferenza più consapevole. Parole diverse e significati nuovi da cercare in mezzo alle chitarre, in mezzo ai soliti suonacci isterici e negli arrangiamenti che stavolta sono pure un po’ eleganti. Il rock’n’roll rozzo ed insensato lascia spazio anche al cantastorie sensibile. Un sentimento non più westernato, ma postmodernizzato. Poi ovviamente c’è quel suo marchio di fabbrica, con uno stile inconfondibile e prevedibile. Insomma, questo è esattamente, indubbiamente un disco di Bugo. Niente di più, niente di meno. Ma meno male che c’è.

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