Il nuovo disco di Marco Shuttle è un’astrazione di un viaggio, attraverso la fusione di elettronica e strumenti analogici
Dietro il lavoro di Marco Shuttle, al secolo Marco Santorelli, c’è una grande complessità, sia per quanto riguarda la ricerca, sia per quel che concerne il suono e la composizione in sé. Per chi frequenta gli ambienti della techno il suo nome non è certo nuovo, dato anche il recente sodalizio con la label Spazio Disponibile, di Donato Dozzy. Il suo terzo album, Cobalt Desert Oasis, parte da una fotografia dello stesso Marco, che raffigura lo scorcio della riva di un lago, che bagna appunto una distesa di cobalto.
Contrasto forte tra due colori freddi, che va immediatamente a tradursi nei suoni usati nella realizzazione del disco, una fusione attenta e mirata di analogico ed elettronico. Si tratta proprio di fusione e non di semplice mescolamento, perché mano a mano durante il lungo ascolto, gli strumenti iniziano a sposarsi talmente bene da costituire un solo corpo musicale, chirurgico e a tratti spietato.
La musica di Marco Shuttle è un movimento riconducibile all’aria che sposta sabbia e piccole pietre per costituire nuove vedute, inedite e forse non reali. Non intende descrivere le suggestioni di un unico paesaggio, ma declinando nel migliore dei modi i field recordings ne crea diversi. Più che un diario di viaggio Cobalt Desert Oasis è una rielaborazione di immagini che sfuggono velocemente davanti ai nostri occhi. C’è tanta onestà artistica, perché quello che c’è risiede soltanto nel suono, non ci sono facili scappatoie o vie di fuga.
Anche nel brano il cui titolo evoca con maggior chiarezza il tema del viaggio, Through Cobalt Desert, ad accompagnarci è il suono del Tombak − percussione persiana dal suono incredibilmente profondo −, in dialogo costante e reiterato con le suggestioni sintetiche. C’è l’idea della lentezza, dell’attesa che le ruote del mezzo di trasporto si facciano largo e trovino modo di districarsi nella sabbia. L’idea del moto sta anche nello scheletro de Il Serpente Cosmico, che ipnotizza attraverso i loop di bassi.
Astraendo i fotogrammi di una traversata, rendendoli fragili quasi come idee, Marco Shuttle ci ha regalato un grandissimo disco, cupo perché inafferrabile, pieno zeppo di rivolgimenti inaspettati.
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La recensione Cobalt Desert Oasis di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-10-19 16:47:00
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