La più recente forma artistica di Dylan Iuliano riconduce a Xenboi, progetto che, dopo le sperimentazioni elettroniche di The Delay in the Universal Loop, approccia altri versanti sonori e mette a fuoco una prima stagione creativa pubblicando un album omonimo.
Nove tracce che arrivano senza grosse presentazioni e scevre da giri di parole: è la musica a stare al centro di tutto, quindi superfluo concentrarsi su orpelli secondari (che comunque non vengono forniti) e via dritti ad approcciare il testo “play”. Nei dintorni delle canzoni plasmate dall'artista sannita, è forte e ricorrente la presenza di Zollo (che di fatto è il produttore artistico di questo disco) con preziose incursioni di Enrico Gabrielli e Paolo Mongardi: tutte le menti coinvolte definiscono un registro espressivo hyper nel senso più letterale del termine. Il perché è presto detto: la tracklist si snoda attraverso una visione sintetica (e sintetizzata) della musica dove ogni brano è una capsula con elementi espressivi molto precisi, naturale quindi ritrovarsi su montagne russe dove il metal e l'afrobeat si alternano senza fare casino, ma restituendo (a loro modo) un senso di ordine e armonia. Sul versante testuale, le parole di Xenboi si inerpicano sul pentagramma, visionarie e romantiche per descrivere il presente che, al netto di tutti i drammi a cui il quotidiano ci abitua, a suo modo è tanto ironico quanto grottesco e beffardo.
Anche se le classificazioni più immediate possono portare a inquadrare l'album tra l'urban e l'IDM, la realtà è che Xenboi lascia la sua musica correre a briglie sciolte, e va benissimo così. È categorico negare le categorie, ed immergersi in un magma pulsante che ha capito molto del qui ed ora, e che con un pizzico di fortuna potrà segnare una felice linea di futuribilità.
Che colpo, Dylan.
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