Nell’universo reggae andare oltre il già sentito è difficile e tutto sommato non sempre richiesto, ma anche nel nostro mare interno, così lontano dalla Giamaica, è possibile rimescolare le carte in maniera interessante e fresca. Il nuovo lavoro del produttore piemontese Lee Fry prova a guardare alle diverse anime della musica della diaspora giamaicana ed a giocarci nel giro di cinque tracce che mescolano produzioni digitali, performance strumentali e dubbing. L’ossatura ritmica è una convincente intelaiatura elettronica che a momenti gioca anche con la world bass , ma la spinta distintiva del disco sono le performance suonate: pur giocando quasi sempre intorno a riff e strutture tradizionali del genere, l’alchimia nei riddim tra il timbro inusuale (e, francamente, bellissimo) del vìolino, i più classici fiati e set di corde roots e scattanti dà la giusta spinta umana e melodica all’anima digitale dei brani. Il trattamento finale invece è a cura di cinque diversi dubmaster, che spingono il sound verso i territori saturi di delay e riverberi del dub più elettronico, ognuno con un gusto diverso. ‘Dubitude’ riesce a racchiudere una convincente visione globale del cosmo reggae/dub, sia spaziando dall’anima più digitale a quella più organica e suonata, che guardando ad una dimensione internazionalista più che prettamente giamaicana: una divertente venatura world e global bass testimoniata dai toni vagamente balcanici di alcuni lead di violino, dall’utilizzo di campioni vocali e percussivi direttamente dalla musica popolare della diaspora africana (Imi Aye), dalle suggestioni asiatiche di Saman’ya Gondala ma anche il peso politico del discorso sulla Siria che chiude il lavoro in Verità A Se Sa A.
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