Lo xenofunk dei The Breakbeast porta nel futuro il crossover e il funk metal degli anni '90
Sarebbe facile assimilare i The Breakbeast alla corrente jazz core e derivati: c’è l’impianto post-hardcore, il basso grosso e sferragliante, gli ottoni acidi, i calembour e l’ironia surreale nei titoli (Phunk is not dead, Cop Corn con il suo “sound of da police” ostinato). Non che sia un’associazione inesatta, è grosso modo quella la matrice del terzetto nuovo di zecca, messo in piedi nel 2020 da membri o ex, tra gli altri, di Ulan Bator e Bologna Violenta. Solo che alla classica formula qui ci sono da aggiungere dosi sensibili di hip hop (Deepengo, Ending Anthroposcene From A Monkeys' Rave Party), funk, nu jazz. Attraverso questa porta multiforme, che rimanda in maniera obliqua alla nuova scena londinese, entrano in gioco afrobeat, disco, elettronica, sprazzi di techno e jungle. Il tutto masticato e digerito, dissacrato ma non parodiato, reso in una sintesi rara tra il peso specifico dei suoni o la ruvidezza degli arrangiamenti, che non spariscono praticamente mai, e una certa leggerezza. Vogliamo definirla un’anima festaiola, alla faccia di certi cliché ormai morenti sulla musica con le distorsioni? Potremmo pure farlo, facendo anche riferimento a quello spirito crossover anni ‘90, incarnato in forme varie da Faith No More, Primus, Butthole Surfers, che incorporava quella specie di funk metal qui aggiornato in versione xenofunk (The Trickster Who Invented Xenofunk). Non è difficile inserire l’ibrido di ‘Monkey Riding God’ in un continuum musicale che passa per nodi ben conosciuti, ma una volta fatto è ancora più facile godersi un insieme di riferimenti chiari ma completamente aggiornati al presente e rinfrescati. Dal punto di vista sonoro così come da quello estetico e narrativo, con un vocabolario (verbale e non) che situa l’album nella temperie apocalittica dei nostri anni, in cui ogni cosa, dalla musica pesante alla voglia di party, è filtrata da quel pesante senso di impending doom che fa spesso capolino in tutto l’album, fino al dionisiaco inno da fine mondo di Ending Anthroposcene From A Monkeys' Rave Party.
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La recensione Monkey Riding God di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-01-10 19:14:55
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