Le avvisaglie di essere di fronte ad una grande band possono essere molteplici, ma è con Zombie Cowboys che la grandezza dei Gomma sboccia definitivamente. Dopo due dischi dall’asprezza consapevole, forti di un fluire ininterrotto che non superava la mezz’ora, e che soprattutto non lasciava scampo alle orecchie per il modo iper-violento di narrare attraverso i versi di Ilaria Formisano, il nuovo disco della band campana è un radicale cambio di passo.
C’è una classicità ricercata in modo abbastanza inaspettato, per la durata più dilatata delle tracce, e per un nuovo modo di gestire il disturbo sonoro. E come nella migliore tradizione cinematografica il classico viene ad accostarsi a ciò che è americano, perché a partire dalle chitarre di Giovanni Fusco, scavatrici che non si accontentano quasi mai delle profondità raggiunte, il sound dei Gomma si trasferisce senza indugiare ai confini col Messico, per il racconto western della fine del capitalismo, o forse del mondo.
Ci sono poi i titoli delle 12 tracce ad aiutarci nella comprensione del cambio di prospettiva. Se prima i riferimenti erano Lanthimos e Godard, autori bravi a colpire con stilettate sottili ma dolorose, leggendo Mamma Roma e Mastroianni nella tracklist i puntini cominciano a unirsi da soli. Tuttavia la ramanzina fatta al divo – o al suo alter ego felliniano Marcello Guidi – e la panoramica tragica sulla città pasoliniana non sono didascalie, descrizioni scolastiche di una pellicola. Le immagini del nostro grande cinema sono rievocate da singoli vocaboli, o nomi, e ritradotte al servizio di un nuovo racconto, in cui c’è spazio quasi solo per la catastrofe, e per una fisarmonica fuori contesto, ma del tutto in linea con il tono agghiacciante di Zombie Cowboys.
Nei testi di Ilaria non c’è traccia di sadismo o compiacimento per il male che canta. La sua oggettività, risultante di un’asciuttezza lessicale invidiabile e di un lavoro incredibile sulla voce, mai così profonda e grave, è l’elemento chiave di questa regia invisibile. Al posto dei movimenti di macchina ci sono una serie di riff spietati, connubio perfetto tra punk e rock texano che puzza di terra, purtroppo bruciata. Gli occhi di Ilaria sono una finestra aperta sulla concretezza del disastro umano, attualissimo e mai giustificato. Le storie di fantasmi erano belle, ma questa lucidità crudele non ha prezzo.
Attraverso l’aggressività melodica dei Gomma il rock ritorna a essere un'ossessione per chi lo suona, un'ossessione che è questione di vita o di morte. La foga con cui gli strumenti sono suonati, la pienezza ingombrante raggiunta nel sound significano che la svolta è avvenuta. Ilaria, Giovanni e i fratelli Tedesco fanno le cose in grande ormai, e si sente.
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