Il pianoforte di Leonardo Pruneti fa da guida in un viaggio tra strutture jazz e melodie evocative
La title-track del nuovo album di Leonardo Pruneti è, significativamente, l’ultima delle sette che compongono la raccolta; in associazione/opposizione con la opener When The World Is Crying, restituisce l’idea di un movimento, un viaggio che si snoda attraverso momenti cruciali e di cambiamento costante (The Moment That Changes Everything), da una condizione A ad una condizione B, ma anche di un cerchio infinito, un loop che trova i suoi non estremi nella continuità sonora tra l’inizio della prima traccia e il finale dell’ultima. Soggetto e voce narrante di questo percorso è appunto il pianoforte del jazzista toscano, protagonista assoluto con una caratterizzazione che attinge a piene mani dal jazz contemporaneo quanto da quello più classico, ma che riesce a fare su e anche suggestioni vicine al progressive o all’art rock. Un’intenzione melodica romantica, evocativa e facilmente fruibile, turbata quando necessario da dissonanze e forme più libere, è la vera cifra narrativa di ‘When The World Stops Crying, una qualità che si fa viva soprattutto nei brani più brevi, come l’intro o la suggestiva Il Seme Della Follia, con i suoi arpeggi impetuosi, ma anche nelle composizioni in cui la comparsa di una tromba o di una chitarra aggiunge una linea di canto ulteriore proiettando il discorso, rispettivamente, verso un taglio più cinematografico o più rock in senso lato. C’è una buona alternanza tra questi momenti e le composizioni in cui il minutaggio sale e lascia maggiore spazio ad una sezione ritmica ben calibrata, che sono però anche quelle che riportano il discorso verso una declinazione più canonica del verbo jazz. Un’incarnazione meno dotata di quell’appeal che può rendere parecchie delle tracce del lavoro appetibili anche ai non cultori del genere e che, in definitiva, è la vera marcia in più della scrittura di Pruneti.
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La recensione When The World Stops Crying di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-01-28 15:31:24
COMMENTI (2)
era rimasta la pagina aperta. siamo tutti qui sul palco e recitare questa tragedia, chi ha fatto il disco, chi l'ha recensito, chi ha provato ad ascoltarlo. tutti umani che cerchiamo di prosperare ed essere felici. non sono musicista.. e dovrei benedire le mani di suona uno strumento o una teoria musicale in testa. ma no. perché anche io faccio un lavoro inutile, forse addirittura dannoso per la società e lo faccio in modo accondiscendete come questo disco. ho la stessa colpa. e se fossi la recensione di me stesso qualcuno avrebbe pieno diritto di venire sotto di me e commentare che faccio pena. ho possibilità di fare diversamente? no. o meglio sì: dovrei cambiare vita o lavoro. non è un alibi, ma una considerazione. mi domando se chi fa jazz lo fa per vivere o per fare jazz. se lo fai per vivere.. lascia stare o cambia musica.
ci provo a essere gentile, ma in effetti è difficile esserlo il lunedì. il lunedì dopo aver letto "turbata quando necessario da dissonanze e forme più libere". il lunedì dopo aver letto "turbata quando necessario da dissonanze e forme più libere" e aver preso coscienza che dissonanza e libertà sono ingredienti dosati a necessità nel 99% delle produzioni jazz italiane. musica scolasticizzata, istituzionalizzata, raffreddata abbattuta regolata dosata perché possa essere un prodotto culturale spendibile sui palchi allestiti per le rassegne borghesi, mediocri, anziane. sono stato gentile. ma questa roba far venir voglia di strapparsi le orecchie :)