L’effetto Ferrari è ipodermico. Bisogna arrendersi. Qui il sapore è molto meno indie, questa considerazione si apre con il fuoco sulla voce, anche perché è quello che si sente di più, oltre a galoppate col doppio pedale o assoli improbabili o seconde voci torrenziali e a volte atroci. Il problema della registrazione, si sa, oltre alla resa esecutiva, ha la grande incognita dei suoni. Questo non è un cattivo risultato, ma nel complesso arriva abbastanza asettico.
Le tastiere a volte riscuotono poco successo, esagerando qua, dando l’idea di new apocalypse là. Quanto ai testi, la difficoltà non sta solo nei contenuti, ma anche nelle scelte stilistiche. Complicarsi la vita a volte fa solo ridere.
Sembra un mix up di un rock non troppo identificato, scomposto e non sudato, con una ventata elettronica, scelta gettonata, presa dai nuovi modelli, dove ci si affida molto alla modulazione e meno alle melodie. Un po’ i Subsonica vestiti da Guns’n’Roses via! C’è tanto impegno, ma si capisce tutto, poco. La prospettiva è che il progetto cresca e abbia più chiarezza nei mezzi e nei messaggi che i Sushiside vogliono dare di sé. L’identità non sta nel scovare la “trovata” per distinguersi.
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