Un onesto alternative rock strumentale che soffre di una punta di solipsismo
Di primo acchito l’alternative rock strumentale di ‘Greetings From Mars’ si presenta come un discorso già sentito e risentito; e se è vero che nelle 10 tracce del disco è facile trovare qualcosa di particolarmente originale, è anche vero che la scrittura di June 1974, nom de plume di Federico Romano, mostra una certa dose di gusto. La tessitura delle trame melodiche, nell’alternanza tra paesaggi scuri e un mood agrodolce saturo di melodia, l’inserimento discreto di timbri e voci aggiuntive accanto ai power chord e lick di chitarra che fanno da protagonisti assoluti del lavoro (Dream Me Again, Aura), a tratti riescono ad emancipare la formula di base dai suoi elementi più triti e ritriti, spingendo il timone verso territori post-rock, sonorità vagamente progressive, post-stoner (The Fugitive, Cameo). Per contrasto, in altri episodi la vena melodica si avviluppa su se stessa in tirate punk rockeggianti prive di nerbo, che forse sarebbe stato meglio lasciare nel cassetto (Morte Nera).
Senza stupire con effetti speciali, nel complesso i dieci brani riescono comunque a uscirne fuori come un lotto godibile per gli amanti delle classiche sonorità alternative in veste strumentale; il problema semmai è che, come spesso accade e nei lavori di questo genere che portano una sola firma, a momenti è difficile non avvertire un certo piattume dell'arrangiamento e dell’esecuzione, rispetto alle buone intenzioni della fase compositiva. Una dinamica che rende ‘Greetings From Mars’ meno interessante di quanto potrebbe essere, e che non a caso si mitiga fortemente quando (<i<Cameo, Supernova) a sparigliare le carte arrivano due o tre ospiti, tra cui ritroviamo Tommy Talamanca dei Sadist. Forse non sarebbe male se, nella prossima puntata, mani e teste coinvolte fossero ancora di più.
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La recensione Greetings From Mars di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-02-22 00:00:00
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