Lo so, non lo sapessi ma lo so. Un libro non si giudica, mai, dalla copertina e così neppure un disco ma vi invito a buttare un occhio sulla cover dell'omonimo album di Nel Ventre Dell'Orsa. Il progetto solista folk ha deciso di porre sul suo disco un bosco che fatato è dire poco. C'è anche un senso di inquietudine montante, che, almeno a me, viene a vedere quella foto e questa medesima sensazione si è riflettuta, anche se con un gradiente un pelino minore, anche nell'ascolto delle tracce che compongono il lavoro di Giulio Pastorello.
Se si ascolta, ad esempio, Brigida, la terza traccia del disco nonché, a mio avviso, la migliore di tutte, si comprende bene come Nel Ventre Dell'Orsa sia anche e soprattutto un lavoro da ascoltare nei boschi, nato nei boschi e che dai boschi trae la sua forza. Gli arrangiamenti sono davvero eleganti, con un folk sostenuto da arpeggi di chitarra e da una voce ora profonda ora sussurrata, che racconta una storia tra il fiabesco e, ancora una volta, l'inquietante.
Questa ambivalenza, sempre per quanto possa capire di musica e di testi, è presente anche in altri pezzi, quali Il Sentiero che manifestano bene come questo disco sia davvero un buon disco. Quello che, forse, manca per fare "il grande salto" è una canzone veramente potente. Nel Ventre Dell'Orsa è sempre acquattato tra le frasche: ti segue lungo il bosco, un po' ti ghermisce, ma non esce mai fuori dalle fronde per finirti. La prossima volta sarebbe bello "sentire un po' più di sangue". Sono convinto che Nel Ventre Dell'Orsa ne ha di sete.
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