Ryu Mortu
Open Space 2022 - Strumentale

Open Space
10/03/2022 - 17:08 Scritto da Stefano Gallone

Connubio perfetto tra ambient concreta, glitch, drone e aperture da soundtrack, il nuovo Ep di Ryu Mortu è un importante spiraglio riflessivo per lo sviluppo di mondi interiori

Aperture oniriche soffici ma, al contempo, tese e altalenanti; anfratti melodici annidati tra le spire nebbiose di un magma sonoro apparentemente indistinto ma, in realtà, omogeneo e strutturato; emanazioni soniche rarefatte ma concrete nella loro essenza ultraterrena: sono solo alcune delle percezioni principali evocate da un primo ascolto di Open space, nuovo splendido Ep firmato Ryu Mortu, sound artist cagliaritano con lo sguardo rivolto a idee da soundtrack ma, nella sostanza, abilmente in grado di sviscerare moltissime altre sfaccettature perfettamente autonome in termini di conferimento di senso complessivo.

Questo perché il suono sprigionato da un lavoro come Open space – ma, nella fattispecie, da un intero progetto di simile caratura – riesce magnificamente nel suo intento di stimolare i sensi attraverso vie sentitamente cinematiche, dinamiche, profonde e gradualmente intenzionate a fare della materia sonora qualcosa che possa trascendere l'elemento materiale del supporto musicale. Ciò che ne consegue è una imponente capacità dell'aspetto compositivo di farsi nuova carne e linfa vitale per il trasporto verso mondi altri, eppure non così dissimili da quelli agognati da un desiderio sentitamente condivisibile di graduale evasione contemporanea.

I territori in cui si destreggiano i sei movimenti fondanti di Open space si sfiorano, si incrociano, a volte deragliano ma coscienziosamente si avvicendano in un crocevia fra sonorità ambient sia sintetiche che concrete, fugaci incursioni glitch, ciclicità minimali dettate da cenni melodici, oscurità drone non prive di dissonanze e spiragli synth-orchestrali tetri e sinistri ma continuamente in cerca di luce, di nuovi spazi – per l'appunto.

A padroneggiare sul tutto è un considerevole lavoro di rimaneggiamento continuo delle sei corde elettriche in eterna ricerca di un'evoluzione che ne attesti l'imprescindibilità anche dove i campi d'azione sono meno verdi e assolati, in linea con certe esternazioni manipolatorie, per certi aspetti, alla Thomas Köner ma con minore oscurità e maggiore tendenza al ritrovamento di spiragli vitali. L'impostazione chitarristica può far associare alcune soluzioni alle diramazioni effettistiche di un Aidan Baker in estasi improvvisativa, ma c'è spazio anche per dissonanze distorsive alla Fennesz, contorni da 'found object' in stile Giulio Aldinucci, epicità assopite da stasi riflessive alla Max Richter e stabilizzazioni emozionali tra Pan American e Stars of the lid.

Gran prova di impostazione animistica verso una necessità espressiva estranea alla comune opinione e, proprio per questo, fondamentale per una qualunque ipotesi di futuro interiore.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.