L'emo elettronico di Arssalendo è semplicemente una delle novità più interessanti della musica italiana recente
A due anni di distanza da ‘Litania’, Arssalendo riprende il suo esperimento continuo di sintesi tra la formula canzone (triste) ed elettronica. Che detto così significa poco, ma va bene perché, immersa in un humus post-moderno, post-tutto, la musica di Alessandro ha lineamenti conosciuti ma un viso decisamente alieno. A metà tra Arca e Lorenzo Senni, tra emocore italiano, PC Music e hyperpop, il producer e cantante romano sintetizza linguaggio digitale post-club che si è sviluppato anche in questi anni di no club, necessariamente destrutturato e solipsistico, ma tutt’altro che freddo e statico. Ci troviamo dentro frammenti di synth dance anni 2000, aperture improvvise in cassa dritta e sventagliate di kick che si impadroniscono, senza snaturarli, di linee vocali e segmenti destrutturati di voci, melodie e gesti sonori. Pattern intricati di frammenti vocali, insieme a linee cantate a cavallo tra emo e pop, orecchiabili e immediate, in cui però le parole sono disturbate da glitch, pitch shifting e guasti vari, sono uno dei trademark di Arssalendo, al secolo Alessandro; in sintonia con l’anagramma che si è scelto per nome d’arte, sulle prime ostico, ma non davvero difficile da decifrare, c’è anche qui un senso di incomunicabilità, inevitabilmente di solitudine, che però non ostacola davvero la comprensione. Rende, anzi, più preziose le parole e le sensazioni che ci arrivano attraverso l’apparente caos sonoro e la distanza digitale, parlando proprio di gesti e parole, ferite, solitudini e affetti.
La musica di Alessandro è una plausibile sintesi delle nostre sinapsi in questo tempo: sbalzi d’umore, isolamento, voglia di ballare l’incomunicabilità di un discorso frammentario e inafferrabile, il tutto però condensato in un flusso di informazioni senza interruzione e rapidissimo. Anche i circa venti minuti di ‘Tutti ammassati senza affetto’, ripartiti in otto brani, scorrono quasi come in un flusso di coscienza, o in un feed digitale, seguendo un pattern riconoscibile ma con innumerevoli variazioni e senza un attimo di noia. Più che una sequenza di canzoni distinte, alla fine dell'ascolto possono rimanere in testa parole, melodie e scenari, ritornelli veri e propri come quelli di Dentro c’è il mare e Sottopelle, ma più plausibilmente una serie di percezioni viscerali e in contrasto, articolate e mescolate con cura alchemica: voglia di ballare e lasciare andare tutto, di stare da soli davanti allo schermo, di mettersi a nudo e stringerci ad un’altra persona, quella sensazione di essere in camera o in metropolitana e avere un rave dentro la testa, o essere a un rave ma lontano e solo dentro la tua testa.
A dimostrazione, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che l’immaginario algido e digitale di certa elettronica non è più in contrasto con la rappresentazione, anche esplicita, dei sentimenti umani, tutt’altro. Anche dentro la macchina batte un cuore, ed è il nostro, così come dentro i nostri batte ormai inevitabilmente quello digitale della macchina, e Alessandro riesce a raccontarne la sintesi con una sensibilità rara nell’utilizzo di parole, ritmo e suono, che riesce (e non è scontato) a trasportare anche sul palco. In poche parole, un nome da tenere d’occhio e tenersi stretti.
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La recensione Tutti ammassati senza affetto di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-04-01 10:32:00
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