In attesa del suo prossimo album, 6 anni dopo il suo disco omonimo, Alaveda ci porta in profondità per ammirare La bellezza degli abissi, ossia "la storia di un amico che, pur se romanzata, meritava di essere raccontata", come lo stesso Alaveda la definisce.
A fare da scheletro sonoro per il brano c'è una fitta chitarra acustica, di quel cantautorato americano ruvido ed essenziale, su cui poi Alaveda infiocchetta un toccante testo, scritto a cuore aperto e rivolto a una persona vicina in cui il rapporto si è trovato stravolto dalle circostanze, dai vizi, dal non avere abbastanza forza per salvarsi dai soli dai propri demoni interiori. L'arrangiamento si accendo nel giro di poche battute, con l'ingresso di batteria, chitarra elettrica, basso e pianoforte, che con pochi colpi ben assestati danno rotondità al sentimento malinconico di Alaveda.
La bellezza degli abissi riesce così a mostrarci nella sofferenza dissolta negli anni una cicatrice pulsante che ancora brucia, nel ricordo di un passato che non può essere cambiato. Quei "solo 1000 anni fa", nella contrastante immagine di un qualcosa che è accaduto da tantissimo tempo ma che è ancora vivo dentro di noi. E che, in questo intimo sfogo, diventa una leggera terapia per accettare il presente.
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