Inizia con dei colpi nervosi ma non è In Rainbows dei Radiohead, anche se talvolta alla band dell’Oxfordshire prova ad avvicinarsi vertiginosamente. Il nuovo lavoro degli Inude, già dai primi istanti, decide di prendere le distanze dal bellissimo Clara Tesla, perla rara che chiudeva musicalmente l’ultimo anno prima della pandemia. Novelist Swan, l’atto iniziale, è una catapulta melodica nelle corde di Thom Yorke, letteralmente. Tutto intorno però si dipanano i fumi rochi di un sound che è cresciuto, scomponendosi con decisione, mostrando le facce dei suoi componenti.
Il percorso degli Inude non accenna a rallentare, e nel tentare di rompere la cristallinità brillante di cui era intriso il disco d’esordio apre nuovi spazi sonori, decisamente più britannici. Tornano ancora più prepotenti le assonanze coi Radiohead in Ballad1 – a cui non segue una numero 2 −, brano che rispetta le aspettative del suo titolo, languido, quasi lamentoso. There Was No Way Out si mette in scia e rispetta la virata malinconica, gonfiandosi di quella solennità accorata di cui gli Arcade Fire sono paladini. Una ballata che suona come un canto di preghiera.
Quello che sembra chiaro ascoltando Primavera è che la band pugliese non ha ancora stabilito che fosse il momento di fare il grande salto in avanti, il tuffo pop di cui sarebbero quasi certamente capaci, ma che legittimamente lasciano da parte a questo giro. Il risultato di questa scelta ci porta ad avere tra le mani un disco in cui la preziosità del loro suonare è rimasta intatta, anzi se possibile si è raffinata. Basti ascoltare la doppietta finale, Work Through e Noisy Floor, Silent Room, dittico dagli echi addirittura maccartiani, una conclusione di percorso che i nostri decidono di percorrere mano nella mano, lasciandosi dietro un odore di pioggia tipicamente inglese, sicuramente elegante.
Gli Inude continuano a non sbagliare alcun colpo, avvolti nel cappotto di calma ed eleganza che oramai sembra contraddistinguerli. Un binomio che ad oggi non li ha fatti affossare in strade troppo comode, ma che gli permette di muoversi con agio tra sonorità che dalla cupezza iniziale trovano sempre una china da risalire. La china britannica di PRIMAVERA la si comprende alla fine, quando tutto ha avuto il tempo di sedimentare.
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