Nuova prova in studio per il cantautore partenopeo e ulteriore passo in avanti verso una concezione compositiva sempre più aperta a esperimenti e contaminazioni
Molto interessante e coinvolgente il discorso portato avanti da Alessio Arena nel suo nuovo album Marco Polo. Partenopeo fino al midollo ma splendidamente meticciato con un concetto di integrazione ideologica e culturale ben evidenziato sia dal titolo – apoteosi del viaggio in ogni sua sfumatura concettuale – che dalle storie narrate – evoluzioni e spostamenti tanto fisici quanto interiori – la sostanza del cantautorato da lui proposto trae indubbiamente spunti da quello classico nostrano ma arricchisce la sua tavolozza cromatica grazie a una salvaguardia tradizionale che non si limita a recuperi di spiriti remoti ma lavora saggiamente in espansione, cercando cioè di estendere i propri confini – qualora ve ne fossero, sia ben chiaro – ben oltre il raggio d'azione originario, in cerca di contaminazioni di varia natura e tutte utili ad abrogare ogni tentazione di identificazione che non sia universalmente unitaria – l'abolizione dei confini mentali, culturali e tradizionali, per l'appunto.
Marco Polo, in questa direzione è un piacevolissimo percorso di crescita individuale in funzione di una ricerca di senso esistenziale collettivo che parte dal formato canzone per addentrarsi in diversi frangenti identificabili come world music nella fattispecie di contaminazioni folkloriche latineggianti ma non solo, il cui scopo è quello, appunto, di rendere corpo unico lingue, dialetti, suoni e colori emotivi sprigionati da un addensarsi di concetti e sentimenti a cuore aperto.
Dove la strada intrapresa sembra condurre più verso un cantautorato fatto di tradizione e incursione popolare, ecco subito diramarsi le scelte stilistiche in direzione di dolci ballate quasi in stile ninna nanna dal fascino fiabesco (L'orso) che non esitano a dialogare con metriche anche folk-prog (Epistolario) o etno-popular (il bel duetto con Roberto Colella che confluisce in Jastemma). Resta evidentissimo l'amore viscerale per mostri sacri del cantautorato nazionale come Dalla o De Gregori tradotti, però, in esplicazioni più recenti ma sempre con venature folk (Modena City Ramblers, Vinicio Capossela), con tanto di incursioni da bolero in territori mediterranei sia in termini verbali (Kublai Khan) che per quanto riguarda una certa languidezza strumentistica (Espina). E come se non bastasse, ecco sopraggiungere anche sorprendenti ma gustosissimi esperimenti a metà tra canzone d'autore e amorevolezze jazzistiche (Gianni) o diramazioni verso uno swing più sornione (Serenata) ma pure in vena di ritmiche sudamericane (Mio padre, la luna).
Splendida dimostrazione di consapevolezza culturale e tecnica in linea con una visione del proprio mondo dedita a un senso di apertura a tratti anche fuori dal comune.
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La recensione Marco Polo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-04-14 16:02:00
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