Ci sono dischi come gioielli. Magari non perfetti, con qualche taglio ancora un po’ grezzo, qualche sfaccettatura un po’ sghemba. Magari non sono neanche facili da trovare, e bisogna rincorrerli per oscure botteghe o fare carte false per averli. Ma restano gioielli.
“North Atlantic Treaty of Love” dei Giardini di Mirò è così. Poche copie, tiratura così limitata che la band ha autorizzato qualche blogger di fiducia a spacciare il quibus in digitale. Ma un piccolo gioiello, che mostra lo stato dell’arte di questo gruppo che non è rock’n’roll ma che del rock’n’roll ha la qualità più importante: o lo si ama o lo si odia, come fosse venuto sulla Terra a diffondere un qualche Verbo che separa fratello da fratello.
Diviso tra un ipotetico lato A notturno, fatto di tre nuovi brani e una cover, e un lato B che alterna sole e luna, tutto di remix, “Nato” è un mondo di visioni e sensazioni, fatto di post rock che trascolora in psichedelia, lunghissimo da raccontare brano per brano. Dei brani nuovi, il più debole mi pare “Little Cesar”: la sua bellissima base, che da intima si fa epica con un crescendo impercettibile ma alla fine possente, viene un po’ penalizzata dal flow di Mc Siaz. Lui è bravissimo, e riporta dalle parti dei cLOUDDEAD: ma è roba che a me personalmente ormai stufa un po’. Danno molto più, a mio avviso, “Othello”, con Jukka Riverberi che snocciola brani dell’omonima opera di Shakespeare, in un allungarsi della musica nella tormenta buia dei sentimenti, la bella cover degli Smog “Blood Red Bird”, che evoca spazi immensi per chiudersi nell’irrompere finale di “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, dove la musica implode, la pellicola si svolge al contrario, l’anima ritorna nei confini corporali, come in certe leggendarie esperienze Esp. “The Perfect Trick” è forse il vertice del disco: lentissima e profonda, dopo le prime battute di sola tastiera esplodono basso e batteria, turbinano lontani nel cielo stormi elettronici. Quando tutto sembra arrivare al culmine, fine, rimangono solo i turbinii, forse onde elettromagnetiche da un mondo contaminato.
Tra i remix, “Given Ground” scorre tra indie- e loungetronica, e vive di triste indolente melodia che descrive certe dolci malinconie estive. Bellissima “Once Again A Fond Farewell”, mentre “The Swimming Season” è vento che passa attraverso di te, la tua anima, fa di te un’isola nel sole, nel vento, nell’anima.“Last Act In Baires”: porti lontani, passi nella notte, voli imprevedibili, figure misteriose, alba, cielo, nuvole. Forse la solita cosa, ma davvero bella.
Disco bellissimo. Certo, ti deve piacere quel post-rock che sconfina estatico nella psichedelia. E poi, lo so, magari le parole dei testi non dicono sempre quello che la musica evoca. Sarà mica un problema. È bellissimo, no? Ma non perfetto. Quasi primascelta. Tu cercalo. Coccolalo. Perditici.
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La recensione North Atlantic Treaty of Love (ep) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-09-29 00:00:00
COMMENTI (6)
Io non riesco più a trovarci lo stesso "afflato" dei primi dischi... ma ci sono diverse cose egregie anche qua dentro!
l'ep intanto si fa ascoltare, ed è molto molto piacevole..... Lo sto ascoltando proprio ora!:] bravi Giardini Peace Marte
(Messaggio editato da Martello80 il 02/10/2006 10:00:59)
grande disco e grande gruppo. e secondo me anche il nuovo album spaccherà di brutto.
mi spiace ma io non riesco ancora a digerirli non sono affatto originali.
Un pò sgonfia rispetto ad altre cose cha hanno fatto. Ora affogano nel citazionismo e nei delay.
Belli i tunzi tunzi iniziali.
Speriamo che dal vivo prendano meglio che lo scorso album!
piace, piace. Poi quel remix degli Hood è rosolio.