Il nuovo disco dei Nu Genea si apre con un giro di basso esemplare, di quelli che suonano come una carta d’identità. Per presentare al pubblico Bar Mediterraneo Lucio Aquilina e Massimo Di Lena hanno scelto la via della circolarità, dell’ampiezza del suono, caratteristiche che nella loro musica non sono state mai date per scontate, ma sono cresciute, mano a mano che il funk si faceva meno nervoso e la loro Napoli assumeva un vero sguardo metropolitano da XXI secolo. In Bar Mediterraneo si canta in tre lingue diverse, ma ognuna di esse si piega doppiamente sulle onde di un solo suono, quello dei Nu Genea. Arabo, francese e napoletano non sono mai stati così simili.
Per questo suo modo placido di iniziare il nuovo lavoro del duo napoletano ha proprio la forma di un incontro fortuito. Si fa conoscenza in un luogo nemmeno troppo immaginario, non importa chi arriverà, portato dal vento o da una carica inspiegabile di vibrazioni positive. Nel comporre dei Nu Genea si sente l'esigenza del dare alla napoletanità lo status di ricerca culturale. Quello che esce dalla loro musica, proprio per la sua contaminazione sempre in espansione, è così bello perché è volubile, sfugge ad ogni conclusione che si prova a tirare, anche sommariamente. Si tratta di tante possibilità, suonate incredibilmente bene. E non è per fare i riccardoni della situazione, ma l'ensemble che circonda Aquilina e Di Lena fa scatenare in noi un moto d'amore per la "musica suonata".
La napoletanità come fatto culturale era presente anche nel precedente disco, sotto forma di parole di Eduardo, rese uniche da quella voce squillante che cantava di voler trovare una pace senza morte. Oggi, oltre ai versi di Raffaele Viviani cantati da Fabiana Martone ne La Crisi, troviamo una personalissima versione di Vesuvio del Gruppo Operaio E' Zezi, dove l'essenziale sensazione di coro popolare è dato dal canto di bambini, che intervengono in chiusura. A determinare l'espansione geografica invece ci pensano Marzouk Mejri, voce e flauto ney della malinconica Gelbi, e Célia Kameni in quella che nell'ultimo anno è diventata una vera e propria hit, Marechià.
Continua ad essere stupefacente la naturalezza con cui i Nu Genea fanno bene le cose. Senza dare l'impressione del grande sforzo sono riusciti ancora di più a cesellare un sound preciso e personale senza il bisogno di dimostrare di averlo inventato. Una musica al servizio del ritmo, che si instaura in un flusso già esistente di parole ed immagini. Era tutto lì, è bastato accontentarsi di essere un proseguimento, allungando verso diversi lidi quello che la canzone partenopea può essere. Nella settimana in cui ha fatto il suo ritorno il principe della Napoli sotterranea i Nu Genea decidono di offrirci il loro modo di muoverci orizzontalmente, invitandoci a scovare nel loro splendido funk un set di batteria di Tony Allen, così come l'arrivo del mandolino, o ancora la voce di Marco Castello, che fa drizzare le orecchie nelle acque calme di Rire. Al Bar Mediterraneo si sta da dio.
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