L'esordio su disco di Samuele Stanco e i Gabbiani Malvagi cavalca l'ironia ma condisce il tutto con grande spirito critico su vari e vasti argomenti generazionali
È facile dire di voler avviare un percorso creativo che punti a sottoscrivere un più o meno agile patto con il concetto di ironia tradotto in formato canzone. Molto meno semplice è il riuscire a portare a compimento quel patto per davvero, sapendo creare, cioè, un intero mondo di contenuti che guardi alla realtà dei fatti in maniera oggettiva ma non si limiti a descriverla deridendone i tratti più caricaturabili, ampliando i propri orizzonti discorsivi anche ad argomentazioni ad elevato livello di serietà per estrapolare da esse anche e soprattutto visioni personali su fatti collettivi o relegati al dimenticatoio del comune senso del pudore.
Questo e molto altro è ciò che riesce perfettamente a porre in essere il progetto Samuele Stanco e i Gabbiani Malvagi col suo primo lavoro in studio Disco mio bellissimo, uscito sotto l'egida di La Colletta Dischi e giunto alle nostre orecchie forte di una considerevole dose di consapevolezza sia discorsiva che tecnica in termini di abilità compositiva ed esecutiva quanto al genere prescelto. Genere e stile che non si discosta da un onestissimo quanto versatile cantautorato folk acustico con grande gusto e impatto melodico, ma che, a differenza di eventuali padri ideologicamente putativi quali Skiantos, Elio, per certi versi Squallor o Elia Billoni/Dino Fumaretto, non affonda il coltello nella piaga di dinamiche socio-politiche viste da sponde simil-punk senza mezzi termini (i primi), non si destreggia su pur meritevoli pavoneggiamenti prog e sottigliezze nonsense (i secondi), non cede il passo – ad eccezione di due o tre punti – a pur utili deliri scatologici (i terzi) e non svela apertamente l'originaria derivazione depressiva legata alla consapevolezza di appartenere a epoche e luoghi sbagliati (il quarto), ma si mantiene abilmente a galla su oceani di frustrazione delineando dettagliatamente i contorni di un'esistenza priva di scopi e finalità, per poi lasciare all'ascolto il compito di addentrarsi nella comprensione del tutto o continuare a rinunciare alla causa.
Quello che viaggia serenamente sulle frequenze di un gran bel lavoro come Disco mio bellissimo è, dunque, un concetto di masturbazione individuale – sia fisica che, soprattutto, mentale – divenuto apice inestinguibile di una quotidianità generazionale che non ha mai avuto – e forse mai avrà – punti di riferimento sostanziali, tanto affettivi quanto professionali. Sostiene una simile e non facile tesi un cantautorato acustico tanto semplice nella forma quanto sottile nelle sue diramazioni da arrangiamento, spesso supportate da incursioni country folk, influssi latineggianti e leggeri livellamenti pop rock che rendono il tutto godibile a tal punto da invogliare nuovi ascolti in funzione di una migliore e più efficace comprensione del vero senso nascosto sotto il velo della simpatia e della leggerezza esplicativa.
Per tutte queste ragioni, la consapevolezza è quella di ritrovarsi al cospetto, senza ombra di dubbio, di un album da non perdere e di un progetto da tenere d'occhio nelle esperienze future in quanto potenzialmente dense di ulteriori argomentazioni utili alla causa esistenziale.
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La recensione Disco Mio Bellissimo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-07-18 16:41:01
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