L'esordio discografico di Zatarra è un album splendido, denso di eminenti riferimenti passati ma in grado di costruire un presente ricco di idee e ambizioni
Non si direbbe proprio un album d'esordio, vista la spiccata, coerente, solida e, a tratti, impressionante mole di saggezza compositiva sprigionata dalle sue viscere oltre l'epidermide multiforme, eppure Burning Butterfly Arabesque, il primo approdo in studio per Zatarra, al secolo Marco Florio, è un lavoro sinceramente magnifico, da veterano ma con la forza d'animo di un trentenne che prende tutto ciò che ha imparato e fatto proprio, nel corso di una vita trascorsa su palchi sotterranei, per metterlo interamente al servizio di un discorso artistico di riferimento anglosassone ma di orizzonte universalmente attualizzante.
Sì, Burning Butterfly Arabesque merita di acquisire fin da subito lo status di uno tra i migliori dischi dell'anno, se non proprio tra le cose più belle in assoluto uscite nel corso di diverse stagioni a questa parte e non sempre (anzi, quasi mai) in Italia. Zatarra riesce abilmente e senza troppi fronzoli a mettere in tavola un corredo di idee concrete e compatte che spaziano tra molti e diversi riferimenti riuscendo a far rientrare il tutto, però, in una visione di insieme perfettamente lineare e, soprattutto, interessante, invogliante, coinvolgente e propositiva, densa di spessore sonicamente culturale come non se ne sentivano da tempo a diversi livelli di diffusione.
Non c'è solo una pur giusta e ovvia dose di derivazione ma anche e soprattutto stretta vicinanza emotiva e fervente annessione culturale a un corpo sonoro mai quieto in termini di continuo approvvigionamento di risorse, elemento basilare che trae ampiamente spunto dal passato per incarnarsi in una nuova veste mai veramente attecchita, almeno dalle nostre parti, se non sulla scia di più o meno forzate influenze commerciali d'oltremanica.
No, non c'è clonazione ma personalità e profonda conoscenza del linguaggio prescelto, in Burning Butterfly Arabesque e, probabilmente, nel progetto Zatarra in sé. Un linguaggio che naviga sulle onde di un folk acustico cantautoriale con influenze anche latineggianti (The mole and the old man) dove si impongono, su tutto, un grande gusto melodico e una selezione di arrangiamenti molto – e bene – stratificati, la cui maestria, però, non esita a lasciare campo libero a influenze pop lisergiche con tendenze marcatamente blues (Despite everything), atmosfere sognanti da ballad a stelle e strisce con affabilità confidenziali rivolte a soffuse influenze pinkfloydiano-watersiane (Ispran isolation), spunti alternative rock in veste cantautoriale alla Jeff Buckley con elementi forse anche pre-grunge in visione tribale un po' di traverso tra Jane's Addiction e Kula Shaker (It won't be so easy, tra i punti più alti dell'album), tendenze da sgangherati bar notturni di periferia a metà strata fra Tom Waits e Willy DeVille (Love is song) e spiriti emotivi da west coast in chiave moderna tra Allman Brothers e Jonathan Wilson (It's over).
Grande album e grande progetto, meritevole di calcare quanto prima palchi importanti senza particolari patemi per arrivare a quanta più gente possibile desiderosa di qualcosa di realmente concreto da recepire.
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La recensione Burning Butterfly Arabesque di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-06-21 15:55:00
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