Cari fottutissimi amici è una grande trovata, la prima grande trovata editoriale del circo Zen. Il circo Zen che negli anni si è dedicato all'attività di incendiario, di scardinatore emotivo della scena italiana, rock/indie/punk non ha importanza. Quello che ha sempre importato è stata l'azione di manomissione con gli attrezzi del mestiere che Appino, Karim e Ufo ormai usano alla perfezione. Ma col primo disco fatto solo di collaborazioni gli Zen Circus fanno il passo decisivo di avvicinamento verso la band di sistema che ancora non sono totalmente, ma che ci si aspetta diventeranno poco alla volta.
Nulla di male, sia ben chiaro. Si cresce, si diventa punti di riferimento, cambiando a volte pelle. Il roster che popola Cari fottutissimi amici può sembrare a prima vista singolare, ma è in realtà la perfetta risultante di esigenze di etichetta, bizzarrie ricercate, tra il nuovo mainstream e la vecchia scuola. Il risultato è senz'altro disomogeneo, la cosa più lontana dall'idea di album che ci si potesse aspettare dagli Zen Circus, costruito in modo poco equilibrato, con due canzoni sulla vecchiaia messe una dopo l'altra sulla griglia di partenza.
Questa strana struttura traballante, fatta di alcuni momenti assolutamente convincenti e di altri molto meno, gira intorno al vero diamante del progetto, scritto insieme a un signore che si chiama Francesco Motta, e c'è poco da aggiungere. Gli 11 minuti di Caro fottutissimo amico sono un estratto dell'amore che emana reciprocamente dalle cinque persone che stanno suonando. Andando oltre la bellezza del pezzo, su cui c'è poco da discutere, si tratta proprio di ciò che di meglio ci si poteva aspettare da questa unione artistica e umana.
L'altra perla incredibile arriva subito dopo. Emma Nolde è il presente e il futuro del nostro cantautorato, e Il diavolo è un bambino conferma che la sua purezza, anche posta accanto una purezza altrettanto autentica ma molto più crudele, ossia quella di Appino, è abbastanza inestimabile oggi. Nella frase "Ciao mamma guarda come mi distruggo" si torna a intravedere la poesia disperata del circo Zen.
Quello che del disco non convince è l'operazione poco organica di assemblaggio della strofa di Speranza in Figli della guerra − che rimane comunque il pezzo più coraggioso dell'intero disco, e questo va riconosciuto −, e Meravigliosa con Ditonellapiaga, dove il modo Zen di scrivere viene un po' troppo offuscato e si sposa non alla grande con quello della cantante romana.
Alla fine dei conti Cari fottutissimi amici risulta essere un almanacco di fotografie, il divertimento sta più nel riconoscere i protagonisti degli scatti, ridacchiare per qualche occhiale da sole strano o per i capelli fuori posto. Anche se l'esposizione non è sempre regolata bene e le inquadrature tagliano fuori qualche elemento interessante, è pur sempre opera degli Zen Circus, e in qualche modo gli va detto comunque grazie, anche per le sbavature. Sul palco dell'Alcatraz avevano detto che alcuni nomi del disco avrebbero fatto storcere il naso ai fan, e così pare non essere stato, forse perché dei grandi artisti ci si fida ciecamente, e comunque un Luca Carboni in questa forma lo augurerei a tanti. Ultima menzione, questa volta d'onore, per Musica da Cucina, uno strano ritorno, in chiusura a un non-disco strano.
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