Il secondo album in studio dei Didimoi è un buon lavoro pop rock con tendenze grunge ma, almeno all'orecchio di chi al rock chiede ancora qualcosa di forte, non va oltre la sua matrice
Giunge al secondo lavoro in studio il progetto Didimoi portato avanti con coscienziosa caparbietà da Luca Praino e Stefano Ermini, entrambi ex About the White e ora in forza a un duo che guarda oltreoceano per mettere in tavola un discorso sonoro di facile attrattiva ma, al contempo, di sostanza quanto più concreta e solida possibile. Peccato soltanto che la buona linfa di cui si nutrono intenzioni e bagaglio cultural-tecnico si scontra con una struttura generale forse un po' troppo a tavolino, senza momenti di vera rottura e senza nulla di particolarmente trasversale, innovativo o memorabile.
Critica della ragion dura, infatti, è un buon lavoro genericamente rock con varie diramazioni che non esulano dal genere di impostazione, ma la struttura ciclica e ripetitiva di quasi tutti i brani che lo compongono può lasciare intravedere una sorta di continuo sforzo nel ricercare il riff perfetto e trascinante finendo, però, per risultare ripetitivo e, a tratti anche un po' ossessivo nella finalizzante regolarità compositiva.
Ovviamente questa considerazione non ha alcun valore se non al cospetto di chi al rock, in qualche misura e fin dove possibile nel 2022, chiede qualcosa che possa rappresentare una via di fuga dall'atrofia del quotidiano. Quanto al restante nucleo di ascolto umano, il problema non si pone perché Critica della ragion dura può risultare tranquillamente come un buon album – e in verità, al netto di questi discorsi, lo è. Da questa parte qua, però, siamo lievemente – ma in maniera del tutto innocua – perplessi in materia compositiva, ancor di più venendo a contatto con un talento strumentistico sinceramente non di poco conto.
Sonoramente, dunque, a bordo di Critica della ragion dura viaggiamo sulla scia di un buon pop rock che non disdegna qualche capatina verso leggeri cenni prog '70 (Iperuranio), atteggiamenti grunge sia abilmente accessibili (Per una volta nella vita) che molto meglio direzionati verso sponde Soundgarden (I morti sono altri), hard funk sincopato un po' alla Primus ma senza derive di divagazione onanistica (4 minuti d'odio) e groove hard blues un po' alla Deep Purple ma soltanto in piccola parte (Le cose più strane), finendo, però, per incastonarsi in eccessive similitudini pearljamiane (più in Dio vi vuole bene – dove si tocca qualche eccesso di similitudine di ultimo periodo – che in Occorre tutto il tempo che occorre) che non provocano male alcuno, anzi, ma non forniscono supporto emotivo in chi più volte, in passato, si è cibato di tali prelibatezze.
Nel complesso, quindi, un buon lavoro pop rock ma nulla che vada oltre la matrice. Il che può voler dire tutto come anche niente, è ovvio: opinioni personali che nulla hanno a che vedere col sacro gusto dell'altrui ascolto.
---
La recensione Critica della Ragion Dura di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-06-23 14:39:54
COMMENTI