Il dub degli Almamegretta è una terapia, ti fa scorrere il sangue nelle vene e scuote il corpo quando l’ascolti. L’onda lunga di “Senghe”, il loro ultimo lavoro, dopo sei anni di attesa, ha toccato la riva e sul bagnasciuga deposita un concentrato di quelle sonorità che hanno fatto la storia della band: reggae, trip hop, elettronica, world music, confermando una produzione sempre all’altezza delle aspettative. La musica di “Senghe” vive al confine, sulla fusione tra dub e melodia, in un rinnovato elogio alla lentezza e alle basse frequenze, con la voce di Raiz in primo piano. C’è mescolanza ragionata di temi popolari, sociali, politici, figli della terra che porta il nome di Napoli e di una realtà più grande, difficile e complessa. Il linguaggio è quello della loro città e i suoni sono contaminati, come quelli del Mediterraneo. “Senghe” (fessura, crepa) è un album orgoglioso delle proprie radici, che si avvale della collaborazione di Paolo Baldini, bassista e rinomato produttore discografico. Con lui in formazione, “Senghe” è un lavoro più ispirato che mai.
Il brano che apre il disco è “Figlio”, una canzone intensa, sul tema della solidarietà e dell’uguaglianza (“E nun è figlio sulo chi t’è figlio, è figlio pure chi nun t’assomiglia, è figlio ‘e chi s’o piglia ‘e chi ‘o sente, mpietto sempe o core ce sta, chiammalo e vide addo va, figlio, core, vide chi è, fallo fa pace cu’ttè”). L’interpretazione di Raiz ci prende per mano e ci porta a spasso per vicoli angusti, raccontando l’amore senza miti con gli occhi puntati sulla strada. “Homo transient” si imprime nella memoria con il suo universo sonoro e la perfetta estetica degli Alma lascia entrare la luce tra le crepe di una umanità nomade ed errante. Tra tammuriata e dance anni ’90, arriva “Toy” per diffondere un messaggio in difesa del pianeta, contro l’operato sconsiderato degli esseri umani. Un omaggio a Mesolella è la cover “Stella” e “Ben Adam” elabora un tessuto sonoro trascinante, un’euforia incontenibile in cui le melodie vocali si scatenano. “Senghe” è un flusso magmatico, “Make it work”, “Miracolo”, “Sulo”, significativamente poste sul finale, dettano con chiarezza le coordinate del disco: un ritorno degli Alma alle produzioni più riuscite, un lavoro azzeccato, mai impulsivo, spedito e orecchiabile.
È il caso di dire che la carriera di questa band progredisce con autorevolezza, confermando la sua immediata riconoscibilità piena di passione e di inestinguibile ispirazione.
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