Il bolognese dipartimento etnia Supersantos si colloca in un territorio musicale che personalmente considero un campo minato e in cui raramente a mio parere fiorisce qualcosa di buono, ma che con mio sommo rammarico annovera un gran numero di estimatori, per me, segno inequivocabile del drammatico ritardo culturale - anche nella musica - del nostro Paese, ben più degli orrori mainstream. Di che sto parlando? Di quel filone sudamericaneggiante che ha proliferato in una certa area centrosocialista (da "centro sociale") dalla pubblicazione di "Clandestino" di Manu Chao. Se il francese va iscritto nell'elenco dei grandi perché - al di là dei gusti personali - ha perlomeno inventato un genere, cosa che non si fa esattamente ogni mattina appena alzati, non altrettanto si può dire dei suoi epigoni. La patchanka sudamericana - figlia di una straordinaria esperienza umana, nel caso di Manu Chao - in Italia ha per lo più tracimato trovando un suo straordinario fattore di diffusione in show televisivi e radiofonici di "sinistra": per cui all'influenza di Manu Chao bisogna aggiungere quella di "Cielito Lindo", degli innumerevoli programmi della Dandini e del musicalmente orribile "Caterpillar". Per cui il risultato non è mai un'opera a cui - piaccia o non piaccia - si deve riconoscere il valore di un vissuto, ma di un'affermazione ideale per cui "Sudamerica" significa "le Giuste Lotte per la Liberazione Proletaria del Pianeta" e amenità simili. Un vagheggiamento, insomma, e inconsapevole, per di più: non si va molto più in là del Paolo Conte di "Sudamerica" e "Messico e nuvole". Che però ha un valore artistico perché consapevolmente è del vagheggiamento che vuol parlare. Valore artistico che personalmente nego a tutti i prodotti stile Bandabardò et similia, frutto di mero conservatorismo musicale, perfetto specchio delle idee proclamate, un sinistrismo oleografico e fermo nel tempo alla prima metà del 900, o al massimo ai primi anni 60. In una versione centrosocialista dell'Orchestra Spettacolo Raul Casadei.
Il dipartimento etnia Supersantos è un gruppo perfetto, in questo senso. Non se i suoi membri abbiano alle spalle esperienze di vita e musicali paragonabili a quelle di Manu Chao: quello che è certo è che in questo disco non si sente affatto. Il Sudamerica, come da manuale, si contamina con l'orchestrina di liscio ("I Malatoni Supersantos", "Capitan Nostalgia"), al reggae garbato che profuma di primo beat italiano ("Io la Fricchettona ed il Racchettone"), a sapori twist ("Elogio al Twist"). I testi sono di un umorismo garbato e lieve, ammiccante, e hanno sempre un tono scanzonato, da festa popolare. Se impazzite per il genere, e già mi odiate per i rilievi di fondo che ho fatto nel paragrafo precedente, procuratevi questo disco o recatevi alla prossima festa con i Supersantos al vostro centro sociale di fiducia. Senza eccellere, nella media, con dignità, questo combo vi farà vivere delle buone vibrazioni.
Resta il fatto che Britney Spears è più innovativa e racconta molto più del mondo d'oggi di gruppi come questo. È terribile, lo so. Ma è così.
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La recensione Dalla canzone alla serie B di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-06-22 00:00:00
COMMENTI (3)
:)
(Messaggio editato da etniasupersantos il 16/03/2010 17:21:00)
Non entro specificamente nel commento di questo disco, non avendolo ascoltato.
Ma condivido al 100% il discorso di Renzo in senso generale, "socio-politico", sul genere musicale e sui suoi estimatori, e sull'abissale ritardo culturale e musicale di una buona fetta di Italia.
E' veramente bello. Merita di stima. Grande.