Joule
L’Era dell’Ottimismo 2006 - Cantautoriale, Rock, Pop

L’Era dell’Ottimismo

Capire il mondo attuale osservandolo da nove punti di vista, ognuno legato ad una diversa professione. Questo l’obiettivo del secondo album dei piemontesi Joule. Il clima del disco è riassunto dalla title-track, che affronta diversi temi di attualità, dai media alla consumismo alla moda. Il sunto del pezzo è racchiuso nel ritornello: “Innocui, siamo innocui / l’interruttore è già spento”. Ed è davvero un peccato che il pezzo sia posizionato in chiusura, perché sarebbe stata un’ottima dichiarazione di intenti per l’intero album, che, di fatto, è del tutto innocuo. I Joule, infatti, nell’affrontare il tema scelto, prendono una strada ben precisa, che ricorda tremendamente da vicino quella di Max Pezzali. La scelta è legittima, per carità, ma almeno il corpulento cantore dell’eterna adolescenza non si sogna di lanciare strali contro la società, ben sapendo che, con il suo linguaggio e approccio, sarebbe poco credibile. I Joule, invece, non si fanno di questi problemi.

Il disco, a dire il vero, non si apre male. “Il funambolo” non entrerà di sicuro negli annali della musica italiana, ma è un discreto pop-rock che ricorda vagamente gli Hard-Fi e “L’adultero” ha tutte le carte in regola per poter reggere il confronto con i futuri tormentoni estivi. Con il terzo pezzo si avvertono i primi segnali di caduta nel baratro: il ritornello de “Il sarto” sembra tratto da uno degli ultimi dischi del già citato Pezzali e iniziano inoltre a far capolino versi che spaventano: “Se non son bravo a parlare / con ago e ditale / farò quel che vuoi. / Se riuscirò a rammendare / lo strappo nel cuore / che c’è tra di noi”.
Il grosso difetto sta tutto qui: la scelta di personaggi particolari per fare una panoramica sulla contemporaneità è buona, ma non si possono portare costantemente all’estremo le metafore utilizzate. La successiva tripletta di brani, in questo senso, è letale e si tocca il punto più basso con il ritornello de “Il matematico”: “Nello spettacolo di un matematico, tu sei un numero primo e io il tuo unico multiplo” e ancora “Posso essere il grafico della funzione che ti descriverà. Sulle ascisse c’è il tempo e sulle ordinate la tua felicità”. Questi passaggi sono emblematici di quanto scritto: stiracchiata fino ai suoi limiti, la metafora sconfina nella parodia. E il fatto appare grave se, come sembra, le intenzioni del gruppo sono ben diverse, dal momento che si avverte in più passaggi una sorta di volontà di denuncia verso l’entità responsabile della ghettizzazione dei personaggi cantati, cioè la società in senso lato. A conferma di questa volontà alta, dietro alla figura del matematico si può addirittura ipotizzare l’ombra lunga de “Il chimico” di “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, ma in quel caso a reggere il gioco c’erano Lee Masters e De Andrè e la consistenza era enormemente più raffinata.

Il gruppo, quindi, non è riuscito a mantenersi entro un limite che potesse garantire una credibilità al lavoro, sfociando in una serie di pezzi qualitativamente lontanissimi dalla buona idea del concept.

Si salva solo la seconda traccia, come detto. Il resto è un unico paradosso e il termine, in questo caso, non ha alcuna accezione positiva.

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