Il tuo unico dramma esistenziale è che sei banale. Rimaneva così, griffato intelligente, il ricordo di una band di Roma chiamata Carpacho!, un disco autoprodotto e un EP targato Aiuola Dischi alle spalle. Una promessa cresciuta nei borghi buoni dell'urbe, orba di quei modi di fare della canzone capitolina scuola Il Locale (dai Tiromancino fino ad arrivare a Max Gazzè, impossibbile non citarli), sintonizzata su frequenze pop ad alto tasso di colori ed ironia, zona melodie killer, con un tocco un po' naive.
Oggi, mentre i talenti italiani se ne corrono fuori da questo paese marcio e avvizzito (anche solo cantando in inglese), i Carpacho! tornano, proprio con "La Fuga Dei Cervelli". Inutile che vi si sottolinei il doppio senso linguistico che ne sta alla base; è invece assolutamente opportuno dire che in un certo senso si tratta del miglior manifesto poetico che questi quattro debosciati potevano scegliere per rappresentarsi. Da sempre in bilico fra elucubrazione intellettuale e sbora caciarona, i Carpacho! non erano mai riusciti a chiudere una canzone senza sbagliare qualcosa, senza esagerare o strafare. Pericolo peggiori Queen come pericolo caduta massi.
Questa volta invece è diverso. C'hanno messo del tempo, tanto o troppo ditelo voi, ma è servito. Perchè parliamo di un album curato certosinamente, maturo, pensato. Che non evita di strafare ed esagerare, in certi casi, ma si poggia su basi solide ed incontrovertibili. Non fateci caso, insomma, se scrivendo al loro indirizzo mail vi risponderà un reply automatico e voi penserete a quali cazzo di turbe umane potrebbero scrivere a questa band oggettivamente sconosciuta. I Carpacho! sono dei fighetti, ma sebbene non abbiano perso quella tendenza ad autocompiacersi della loro bravura (che potrebbe danneggiarli in futuro), questa volta sono le canzoni a spazzare via tutto. E questo è sempre quello che conta.
Inspiegabilmente uscito autoprodotto, senza neanche uno straccio di presunto discografico a metterci qualche soldo - "La Fuga Dei Cervelli" è un miracolo. Perchè dimostra che si può fare dell'indie-pop copiando clamorosamente They Might Be Giants e Divine Comedy, senza però cadere nella mera fotocopia. D'altronde, non stiamo a raccontarcela, metà dei dischi di swedish pop che vanno di moda oggi e giustamente ci entusiasmano sono riconducibili ad un filone di riferimento che ne detta i canoni estetici. Qui è lo stesso. La differenza, però, la fa il talento, e qui ce n'è QB. Che sta per Quanto Basta ma anche per Que Bendidio!
Equilibrio negli arrangiamenti. Coretti al limite del twee. Onomatopopeiche. Tocchi di synth. Inserti di elettronica. Chitarrine cheke-cheke. Piccole cascate di pianoforte. I Carpacho! tirano insieme una grande carovana pop. E hanno la forza di prendere in mano un megafono e cantare cosa intelligenti e divertenti. Prendere in giro i vecchi che per credersi giovani si fanno dare del tu, e le vecchie che si vorrebbero sempre abbronzate. Descrivere peni grandi come un grande vuoto e amori da toilette. Fare il verso ai dandy apatici e rinchiudersi nella stanzetta a sognare notti ai tropici, l’amore al tempo dei nerd. Per arrivare infine a “Regole per un cervello difettoso”, canzone decisamente manifesto, dove Catani entra e strappa applausi: “Forse hai perso la testa / ma se hai perso la testa non hai perso niente / non lo senti un pezzo che manca? E’ questione di statura / Se ti perdi la testa non perdi niente. [...] La prima regola è: se ti senti stronzo lo sei. / Seconda regola: evita il mistico / Ci sarà un momento per rincorrere le religioni e lo supererai”.
Decisamente il disco pop italiano del 2006. Che toglie la materia canzonetta dalle mani sbagliate e riconsegna al mondo indie un patrimonio vasto ed accessibile. In attesa dei cugini Micecars, ci godiamo questa grande e folle corsa. Tristi ed euforici come l’Arabesque TARMiano che chiude questo piccolo gioiello.
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