Marchio Bossa
Fantasy 2006 - Pop, Jazz, Lounge

Fantasy

Recensire dischi come questo è sempre un problema. C’è un gruppo di ottimi musicisti, tutti provenienti dal jazz, un pugno di canzoni composte nella perfetta scia di signori come Antonio Carlos Jobim o Carlos Lyra, arrangiamenti “d’epoca” nella loro filologia. È un disco piacerà sicuramente a quella fascia di pubblico che si colloca tra il mainstream pop asettico e il jazz più classico e fermo nel tempo.

Ci sono diversi modi di essere fuori dal tempo. L’inattualità scandalosa di chi irrompe a ciel sereno nella nostra vita dicendoci cose “fuori moda” che turbano e sollevano interrogativi. E l’inattualità tranquilla e paciosa che non ci racconta nulla del mondo d’oggi, rifugiandosi in una torre d’avorio lontana nel tempo. Ecco, questo è il caso dei Marchio Bossa, senza volergli fare processi, perché credo che, stretti come sono tra pedissequa imitazione dei modelli (non basta cantare in italiano per attualizzare un genere brasiliano di 40 anni fa… lo faceva già Mina all’epoca!) e asetticità jazz pop, non volessero offrire altro col loro progetto che un’occasione di intrattenimento discreto ovvero non invadente.

In fondo, la bossanova traeva il suo significato dalla sublimazione delle condizioni di vita del Brasile anni 50-60 prima (c’era la dittatura, e quasi tutti i musicisti del genere erano oppositori del regime; molti fecero la galera), che portava da un lato al canto poetico di aspetti della vita quotidiana, e dall’altro, per la stessa musica prodotta (tralasciando l’aspetto testi), al sogno angelico di una vita diversa. Il resto del mondo non se la passava diversamente: problemi, negli anni 60, ce n’erano a bizzeffe, come e forse più di oggi (lo spettro di una guerra nucleare, per dirne uno). Per cui la bossanova assunse in un certo qual modo il valore del sogno di una vita angelicata e lontana dai problemi. Da qui, l’enorme diffusione sia presso le élites che presso i ceti medi, specie piccolo borghesi (come si diceva all’epoca), di cui Mina fu la cantrice in Italia. Ok, fine della pallosa lezione. E scusate.

Ma tutto questo mi serviva per spiegare come la riproposizione pedissequa di queste atmosfere oggi non racconti più nulla, neppure un sogno d’evasione. Inserita nel gran calderone del revival lounge e cocktail, la bossanova in sé non ha niente di meglio o di peggio di altri generi. Il punto è come la si usa: cosa che inevitabilmente porta al gradimento di certe fasce di pubblico e al rifiuto da parte di altre. Certe suggestioni possono essere usate in modo problematico, per raccontare comunque il mondo d’oggi: pensate ai Baustelle o agli Studiodavoli, anche se non recuperano la bossa. Invece i Marchio bossa propongono una scultura di cristallo fragile e delicata. Ma che dentro la sua trasparenza mostra di non avere dentro niente. Non c’è un brano che spicchi sugli altri. L’unica cover del disco, “Fantasy” degli Earth, Wind & Fire, è depurata dalla passione che le ruggiva dentro. Ripeto: è una scelta che in sé non ha nulla di esecrabile, ma è significativa e spartisce il pubblico. I musicisti sono tutti bravi, la voce dell’ottima Francesca Leone sempre intonata, ma priva (volutamente) di passione come una algida Greta Garbo. Risultato, paradossalmente, un disco senza compromessi: o piace o irrita. Molto leggermente, però.

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