Echi del nuovo post-punk inglese, tra jazz e no wave, nell’ottimo esordio dei Leatherette
Una parte della nuova ondata post-punk inglese è tra le poche, felici, novità della scena rock internazionale, una novità a cui il termine rock e soprattutto quello post punk va stretto. Ma forse è proprio per questo che, al di là delle ovvie continuità con il passato e del rischio di fossilizzare certi schemi, Squid, Black Country New Road, Shame e compagnia hanno tirato fuori alcune tra le cose migliori degli ultimi anni.
Ci è parso necessario fare questo piccolo cappello per introdurre l’esordio dei bolognesi di adozione Leatherette, che in questo milieu ormai ben consolidato, ma ancora non troppo praticato in Italia, affondano chiaramente le radici; sono radici però da cui si è sviluppata una scrittura dalla cifra personale, affinata in anni di Covid passati ad arrangiare certosinamente i brani di ‘Fiesta’. Oggi l’album sfoggia una gamma invidiabile di dinamiche, colori e combinazioni di linguaggio, soprattutto per un gruppo al primo lavoro sulla lunga distanza: post-punk nervoso e artsy (Thin Ice), ostinazione no wave e ricami emo Midwest uniti a ritmi bossa nova (No Way), garage/hip hop (Dead Well) e improvvise precipitazoni mediorientali, con una componente jazz caratterizzante e obliqua, che spazia da fraseggi più classici a declinazioni punk ed evocative alla King Krule. Il DNA punk però è presente in maniera multiforme ma costante, alternando momenti raffinati, ma sempre inquieti, a graffi sguaiati (Fly Solo), ritornelli a cuore aperto (Thin Ice), melodie trascinanti seminascoste dal frastuono (Sunbathing).
Certo, il semi parlato un po’ latrato in inglese rischia, ormai, di diventare un cliché per nulla autentico, soprattutto arrivando dall’Italia. Qui, però, si contende l’arena sonora con una quantità importante di suoni diversi, cambi di mood e ritmo, a voci quasi altrettanto principali come quella del sax; a sottolineare ed accompagnare i saliscendi motivi di una scrittura che non si risparmia, andando a toccare temi delicati e a sfiorare gli abissi dell’animo umano. E forse è anche un peccato che questo livello di comprensione sia riservato agli anglofili più spratichiti. Chissà se non sarebbe interessante vedere i Leatherette tentare l’azzardo di raccontare qualcosa in italiano.
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La recensione Fiesta di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-10-14 00:00:00
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