Inward crawl, vale a dire “strisciare verso l’interno”: è questo il titolo dell’album d’esordio del trevigiano Riccardo Buck, pittore floreale e musicista, alle prese qui con una manciata di canzoni profondamente influenzate dal mondo folk e lo-fi statunitense. Arrangiamenti minimali, spesso ridotti a chitarra e voce, ai quali si accompagna un approccio casalingo nella registrazione dei brani: ne risultano sette canzoni che, come preannunciato dal titolo del disco, danno l’impressione di voler come intrufolarsi nell’interiorità degli ascoltatori, minuscole talpe intente a scavare la loro via verso la nostra emotività allo scopo di smuoverla e scombinarla.
Purtroppo alle belle intenzioni non segue un risultato altrettanto interessante: i brani non attecchiscono, non possiedono quell’intensità emotiva necessaria a fare breccia nei sentimenti dell’ascoltatore. Più che strisciare verso l’interno, sembrano accarezzare la superficie senza scalfirla, senza riuscire ad aprirsi un varco. Il risultato è un susseguirsi di canzoni che lasciano indifferenti, prive come sono di quel pathos, di quella carica espressiva ed emotiva capace di parlare a cuore e testa degli ascoltatori. Inward crawl finisce per essere un esordio troppo tiepido, specialmente in quanto proveniente da un artista che si prefigge di entrare in contatto col lato più intimo di ciascuno di noi. Per riuscirci, però, sono necessarie scelte coraggiose: starà a Buck decidere se compierle.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.