Il secondo album dei Cazale è un viaggio intimo tra ricordi familiari, jazz e post-rock
A differenza di molte produzioni strumentali post-qualcosa, ‘The aunt’s house’ dei romagnoli Cazale indugia spesso su un toni caldi, anche se malinconici, su una dimensione intima e confidenziale più che rivolta ai grandi spazi e alla sturm und drang di tanto post-rock; atmosfere coerenti col concept del lavoro, pensato come colonna sonora di ricordi e memorie di una famiglia, materiali e non, idealmente ambientato negli angoli e nei cassetti della casa della zia del fondatore della band, il sassofonista Paolo Gradari, a cui il lavoro è dedicato.
Seguendo questa traccia, gli otto brani scorrono tra una forte componente jazz di pasta relativamente classica e una concezione dello spazio e del movimento delle tracce di derivazione chiaramente post e progressive rock, spruzzata di new wave, che emerge chiara dalle ritmiche e dalle chitarre. Si scorre in maniera abbastanza fluida dai soundscapes di chitarra dell’opener al post-punk jazzato di Rex, dai bassi e dalle melodie ammiccanti alla Morphine (Microdance) agli insistenti temi melodici di sax. Gradari è effettivamente la voce principale della band, ed è seguendo il suo sax che toni e dinamica si spostano da un tocco morbido, autunnale (Rosetta), fino a melodie e soli drammatici e urgenti (The son of the farmer, The actor’strunk).
Al secondo album della band la formula suona già matura e ha personalità, pure rispetto ai vari progetti strumentali che in Italia (e non solo) giocano con un patrimonio sonoro e idee simili; non manca qualche attrito brusco, qualche sbalzo di dinamica inconsulto e magari ingigantito dalla produzione, ma si tratta di piccoli ingorghi in un lavoro che, in generale, scorre bene e facilmente, senza chiedere troppo tempo o attenzione eccessiva all’ascoltatore.
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La recensione The aunt's house di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-10-14 00:00:00
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