Strano percorso, quello intrapreso da Gabriel Sternberg. Parte criptico, difficile, arrogante. “Today” non è altro che rimbombi e rumori urbani. Sembra quasi uno scherzo, perché per 7 (sette!) minuti non succede nulla. Non una melodia, non uno strumento, non un’emozione.
Poi. Entra lui. Imbraccia una chitarra acustica e un carico di malinconie assortite. “Marzena”. La voce si fa sottile, disegnando ambientazioni neo folk che incuriosiscono e disinnescano le spocchie pseudoavanguardiste della prima traccia.
Poi. Sul palco entrano nuovi strumenti. Chitarra elettrica, fisarmonica, batteria, pianoforte. “Willow Tree”. John Lennon e Sparklehorse a fare da spettatori compiacenti e compiaciuti, mentre dal fondo della sala salgono applausi. Perché qui siamo dalle parti del capolavoro.
Poi. Ulteriori cambi di rotta. Derive elettroniche curiose anche se non originalissime (“Silent Days” e “Instrumental”), intervallate da nuovi scampoli di pop onirico (“Please Don’t Leave Me”).
Poi. Chiusura con “Endless Night”. E tutto, come in un cerchio perfetto, riaquista un senso. Perché qui è la notte a parlare. Mentre nel primo episodio del disco Sternberg – un nome da predestinato all’indie pop – aveva rappresentato (ma va?) il giorno. Fosse stato meno prolisso in entrambi i casi, sarebbe stata un’idea niente male. Promosso, comunque.
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La recensione Silent Days di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-07-31 00:00:00
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