E’ uscito qualche mese fa il nuovo album degli Egokid, non più produzione Snowdonia, ma EW Records. Una sovrabbondanza di materiale psico-musicale: 15 brani. “The K Icon” è l’album che la band definisce il più religiosamente ispirato, perchè si propone di annunciare questo messaggio: vivete felici con le vostre pulsioni sessuali e raggiungete l’estasi il più possibile, anche più volte al giorno se potete! Producono un cd dissacrante, che saltella tra sacro e profano, demenza e concettualità, suore ed ecstasy, in una morale schiettamente gay. Sciorinano questo caramello amaro su madonne coniche, chupa-chups e halleluja. E se lo possono permettere data la loro tecnica e originale versatilità.
Intro di theremin stile Matmos. Niente lumache né campioni di erezioni, ma uno sperimentalismo alla portata di tutti, che sta nel combinare ironicamente voce testi e strumenti al fine di provocare e godere. L’aspetto ludico è imprescindibile. Con una personalità teatrale da divi, esibizionisti e logorroici. Esaltati o catastrofici. Le voci interpretano, da toni sinuosi e caldi caldi, a impennate isteriche impregnate di tensione. Sprofondano alla Jim Morrison, vocalizzano alla Freddy Mercury, rockeggiano alla Brian Molko, Placebo. Sfumature soul e lounge su un tessuto lunghissimo di post-punk o power pop. Intervengono sparse trombe e un trombone, coretti femminili e maschili. Personalmente, ho preferito il rock acido delle tracce "Maturo" e "Ron Jeremy" rispetto ai pezzi glam più melodici, e la psichedelia delle chitarre complici ai vocalizzi troppo prolungati. Ogni brano è diverso ed elaborato ma tutti si accordano in nome dello spirito del sarcasmo gay.
La musica degli Egokid è teatro e spettacolo e in quanto tale apre il loro mondo, con loro come personaggi. Cosa c’è nel mondo degli Egokid? Intanto Milano! E pensieri dolci maliziosi gay conversazioni giochi. Trucchi sesso grammofono bimbi ribelli. Strappano sorrisi e lo fanno con citazioni ed evocazioni, con cover di "Jingle Bells" e "Tu scendi dalle stelle" ed un tocco di perversione: “What fun it is to ride on a horse’s tool today”, “Me and my mommy share the wildest dream about shagging Sean Connery”.
Più di 60 minuti di musica che intrattiene. Ma dopo un po’ passa per le zone periferiche di ricezione, perché il cd è lungo e, anche se non prolisso, l’anima gay inclusa nel prezzo rischia di stancare. Se non è il proprio pane quotidiano, s’intende. O può capitare che effonda così tanta joi de vivre e divertissement che dopo averne ascoltato un pezzo si decida d’uscire con gli amici e avere un qualche tipo di amplesso. Questi gli Egokid nel loro Egokindergarden. "Non siamo bambini, sorella. Siamo gli Egokid". E poi tutti e tre cominciarono a cantare a squarciagola un halleluja.
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La recensione The K-Icon di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-09-25 00:00:00
COMMENTI (5)
assolutamente troppo lungo e gli mancano quei picchi creativi del primo... :(
un buon disco ma ci si aspettava di più!
Forse ha il difetto di essere un po' lungo, è in realtà una piccola antologia egokid e segna la fine di una fase. Io lo trovo molto denso, ben suonato, ispirato. Una prima scelta l'avrei "sprecata".
Unico mio consiglio: idee più mirate al formato canzone e meno alla deriva onirica. Ma forse non rientrerebbe nel loro mondo di coniglietti rosa.
boh... è un terreno non affatto inesplorato (matmos, antony, xiuxiu...), però capisco quella ricerca di calorosità da una scena che magari si frequenta..e in italia non ce ne sono tanti di gruppi così.
carini i pezzi.
grande claudia per la rece:)
a me piace un bel po(p). ma le considerazioni finali sono giuste. sarà perché non capisco ancora, a 32 anni suonati, come una persona definisca se stessa a partire (in modo dirimente) dalla propria sessualità e non da altri fattori.