Rilassatevi. Mettetevi giù. Chiamate un’amica a casa. Mettete su ‘sto disco. Bevete roba fresca. Chiacchierate. Parlottate di cose inutili tipo i sogni fino a notte fonda. Dimenticatevi di tutto il grigiume attorno. E nel mezzo dei vostri ikearredamenti fate spazio alle cose ben fatte. Soffiate via la polvere dallo stereo. Per una sera, lasciate gli I-pod spenti riposti nella custodia. Puntate sull’atmosfera. Sull’insieme. Regola 1: non serve un disco che richieda troppa attenzione, sofisticato, intellettualeggiante. Regola 2: serve musica che colori di caldo e riempia le stanze vuote. Regola 3: c’è bisogno di belle canzoni. Fra biccheri sempre mezzi vuoti, lasciatevi andare alle mezze falsità.
Che cosa intendano gli Hogwash con “Half Untruths” è da lasciare agli eventi. Declinate come vi pare. Fate voi. Io dico: bentornati ragazzi. Uomini con figli, certo, mica più pischelli, ché l’età passa e si fa famiglia. Ma. Rimane lo spirito. Cresce la tecnica. E se resiste l’ispirazione si assiste a quella cosa che, per i dischi, i critici banalizzano sotto il concetto di “maturità”. Perciò mi banalizzo anche io. Banalizziamo tutto. Cose semplici ed efficaci. Cose semplici e banali. Citazione facile.
Disco nel solco dell’approccio che li ha da sempre caratterizzati. Chitarristico. Rigorosamente registrato su nastro analogico da 2 pollici. Arpeggi e riff senza soluzione di continuità. Rock’n’roll (“Fools Do Pay”) e ballate lunari (“Holes In My Maps”, dove fanno capolino pure banjo, theremin, cori femminili e armonica). Giochini ad incastro mai troppo scolastici e mai pretenziosi. Abbandonati certi spunti bui, certe notti mal digerite, questa volta gli Hogwash si lasciano al fluire melodico come a dorso nudo poggiato sull’acqua corrente. Sentite l’estiva “Red Heart Shaped Petal”, tanto per capire qual è il mood. Danno alle loro trame un sapore solare, non si vergognano d’essere sereni, raccontano una parte positiva di loro. Curioso che a dominare questo flusso in regia ci sia Alberto Ferrari, non certo noto per aver visto la luce (ma, piuttosto, per aver chiuso le tende). Il cantante-chitarrista dei Verdena dunque si mette da parte, e fornisce la sua esperienza al cospetto di questa band dal piglio classico, sia in senso rock (Neil Young & Crazy Horse, Echo & The Bunnymen, Dinosaur Jr) sia in senso indie (dEUS, Pavement). Inutile sforzarsi nel ricercare le citazioni e i rimandi. Ispirazione e mestiere qui se la giocano a metà. E le tredici tracce di “Half Untruths” sono pareti di una stanza soffice in cui è piacevole soggiornare. Accompagnati e non invasi. Sia mai che fra uno slide e un contrappunto acustico ci scappi il bacio.
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