Made in Cina è il titolo del nuovo EP dei Cactus, band originaria di Como che potrebbe rappresentare il classico esempio di progetto moderno: concetto di vendite supersto, ottimi numeri nello streaming e grande successo di followers su piattaforme come Tik Tok e Twitch.
Quello dei Cactus è un indie pop giovanile e allegro, così almeno viene autodefinito, oseremmo dire spensierato e destinato alla fascia d'età che ha appena finito il liceo e si appresta a vivere gli anni dell'università. I primi pensieri, quindi, sono gli esami, l'amore per le ragazze e quello per la propria città, uniti ad un' attitudine da losers ma sempre con il sorriso stampato in faccia. Insomma, un'allegria ingiustificata e totalmente fuori contesto per il periodo che stiamo vivendo, ma i numeri danno ragione a loro. Se meno di un decennio fa il ruolo di paladini del nuovo pop italiano generazionale era ricoperto da artisti come Calcutta, TheGiornalisti e altri proseliti dell'itpop, oggi sembra che si guardi non più al cantautorato anni Ottanta dei Venditti e dei Dalla, quanto piuttosto alle boy band di fine anni Novanta, in una trasformazione tanto repentina quanto difficilmente inquadrabile come autentica.
Allo stesso monento, però, quello che colpisce è la semplicità con la quale un certo genere abbia fatto scuola e continui a funzionare nel circuito della musica italiana. Di conseguenza, le ballad post adolescenziali della band comasca sono quelle che si candidano ad essere i nuovi inni generazionali post pandemici. Orecchiabilità, cantabilità e gioia: questi gli elementi che trascinano i brani verso una dimensione disneyana e luminosa, in cui tutto funziona alla perfezione e non c'è posto per la malinconia.
Che l'itpop avesse bisogno di una rinfrescata è chiaro a chiunque, ma è davvero questo la strada giusta?
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