Mica facile dare un giudizio sul disco d’esordio della catanese Agata Lo Certo. Per due ragioni, parzialmente in tensione fra loro: da una parte è senza dubbio un disco controcorrente rispetto al baccano attuale: molto soffice, intimista, cesellato quasi da irritazione. Non poco. Con la produzione che la Due Parole ha dietro, poi, la Lo Certo avrebbe anche potuto optare per qualcosa di più “facilone”, che avrebbe sicuramente reso maggiore redditività radiofonica.
E invece no: va dritta per mezz’ora con sette ballate segnate dal tipico approccio cantautorale secondo la più solida (e ormai un po’ vecchia ma sempre giganteggiante) tradizione cantautorale femminile statunitense: fra Carole King, l’ultima Tori Amos, diciamo quella di “Scarlet’s Walk” e sua sofisticatezza Joni Mitchell. Nomi da prendere - in questo contesto - con le pinze togliendosi il cappello. Sette ballate fra arrangiamenti jazzy-pop essenziali, ben ricamati, tutto piano, voce, contrabbasso e qualche fiato. Gradevole.
D’altra parte, però – e siamo alla seconda ragione cui accennavo in apertura –, il sound complessivo del lavoro stenta a decollare, a farsi incisivo, riconoscibile: i pezzi rimangono nello stimabile ed encomiabile calderone del “bello e talentuoso”, e mica ci stanno male.
Manca loro però, appunto, un segno, un piglio che elevi le sette canzoni dal prodotto che avrebbero potuto tirar fuori quattro ottimi turnisti ed una pregevole voce ritrovatisi per qualche giorno in studio a “primo album di Agata Lo Certo”. Beninteso: la cantautrice cerca di metterlo, quel segno, col lavoro sui testi. Ma la tematica ricorsiva della paura del futuro e dell’ancoraggio spietato al passato, della crescita e della libertà spezzata dai legacci piantati nei rimpianti non basta (“oltre la luce e il buio, oltre la rabbia e il destino”), no, non basta a fare di liriche corrette e non banali dei testi maturi e che assolvano alla funzione di “demarcatori dello stile Lo Certo”. Che facciano la differenza su sette arrangiamenti gradevoli ma poco mutevoli.
Ciò non toglie che “Mutevoli Sensazioni” (il pezzo) e “Oltre” siano due pezzi da cui poter (ri)partire senza troppe paure per un lavoro al quale non manca altro se non l’elemento essenziale di un bel disco: il marchio, vero, di sangue e testa, di chi ci sta dentro. E un pizzico di coraggio in più per variare, provare, affacciarsi dallo stretto balcone del canone.
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La recensione Mutevoli Sensazioni di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-09-19 00:00:00
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