Micecars. Finalmente. Li aspettavamo con ansia e curiosità, perchè raramente una ipotesi di band riesce a generare tanto chiacchiericcio. E' giunto il momento di dimostrare che gli elogi raccolti tra blog, forum e salotti indipendenti fossero meritati. E togliamoci subito il dubbio: lo erano. Non una rivoluzione copernicana, ma davvero un buon disco. Partiamo dalle generalità: una band romana formata da musicisti con esperienze in altre band romane (Carpacho, Catclaws, No Hay Banda Trio). Aspetto non secondario in questo momento storico, perchè è evidente come la Capitale stia uscendo dal suo immobilismo spocchioso e presuntuoso per entrare in un nuovo ciclo economico-culturale. Rispetto a Bologna, ad esempio, è arrivata tardi a frequentare il fenomeno del ero-indie-prima-di-te e si è dovuta un po' reinventare determinati meccanismi di partecipazione alla faccenda. Forse per questo, "I'm The Creature" è molto meno "indie" di quanto ci si aspettasse e più "alternativo". Suona fine ottanta - primi novanta. Dentro ci sono Pixies (molti), Dinosaur Jr. (abbastanza), Pavement (un po') e Guided By Voices (qualcosa). Sembrerebbe tutto prevedibile, scontato. Niente affatto.
I Micecars non sono originali, ma si distinguono. E se certe indie-song odierne cominciano a rivelare una leggera patina da "revival" (un po' l'effetto che dieci anni or sono faceva il primo post-grunge, passatemi il paragone), le loro canzoni mantengono freschezza. Non possiedono ancora la maturità della grande band, ma forse lo diventeranno, perché dimostrano la sfrontatezza di chi potrebbe andare all'estero testa alta e petto in fuori. Hanno idee frizzanti, scrittura solida, paraculaggine astuta, gusto melodico, emotività, chitarroni e chitarrine. E sono pure ironici, aspetto di cui oggi molti loro colleghi si vergognano. Colorano le canzoni come un bambino farebbe con le figure della settimana enigmistica. Ci mettono cori, ritornelli, controcanti, urla, battimani. E nella confusione, inventano una vocalità tenebrosa, ma pimpante. Poi quelle melodie appiccicose e decadenti, spesso deviate verso la malinconia trasandata e lo scazzo depresso da slacker purosangue. Storti, trasversali o sghembi, scegliete voi l'aggettivo che preferite. Eccentrici, evocativi, spigolosi e piuttosto garage-rock, se non fosse per una sottile timidezza pop, sottolineata da una tendenza alla finta scordatura. Un disco indie per immaginario e circostanze storiche, ma alternativo d'altri tempi per forma, sapore e intensità. Dalle parti di Stati Uniti ed Inghilterra forse sarebbe mainstream da esportazione, per quelle due o tre sensazionali hit radiofoniche che gli anglofoni definirebbero "catchy killer song" o qualcosa del genere. Roba che piacerebbe ai Modest Mouse, se non l'avessero già scritta.
Non sembrano però ancora compiuti. Il lavoro è discontinuo, qualche canzone è così così e dove non arriva il talento si copre con pose e atteggiamenti rubati altrove. I modelli di riferimento sono ancora invadenti e chi li conosce non si stupirà. Anzi, è possibile che alcuni preferiscano direttamente ripescare le origini. Ma è probabile che qualcuno possa innamorarsi perdutamente dei Micecars.
Questo lavoro rappresenta uno dei segnali della possibile nascita di un credibile sentimento internazionale anche in Italia, che non passa necessariamente dai capolavori, ma da buoni dischi in grado di innescare un rinnovamento. Ed è importante dargli fiducia.
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