Dopo due splendidi singoli tirati fuori nel corso del 2022, il cantautore Checco Curci, pugliese di origine ma milanese di adozione, arriva ora alla ribalta col suo album d'esordio Anche solo per un saluto. Forte già di un titolo perfettamente in grado di inoculare nella mente degli interessati meno assonnati una solida idea relativa alla portata concettuale di un simile lavoro – prevalentemente una serie di importanti e potenti riflessioni incentrate sull'odierna considerazione dei rapporti interpersonali – il biglietto da visita sulla lunga distanza con cui Curci si presenta al pubblico è sinonimo anche di un consapevolissimo approccio pop miscelato molto saggiamente con elementi sintetici e riconsiderazioni melodiche che permettono al tutto di farsi veicolo per ulteriori coniugazioni del concetto di disillusione, ampiamente chiamato in causa da tanti nomi del panorama anche non underground nostrano ma raramente trattato in maniera così efficace e di così potente impatto cognitivo.
Il mosaico che Curci offre all'orecchio – e all'occhio interiore – meglio dedito a una così gravosa riflessione su una apparente vacuità del presente che malgrado tutto, tra le sue viscere, conserva comunque un'ancora di salvezza prima morale e poi carnale, è ricchissimo di variopinte soluzioni che, partendo dalla composizione cantautorale nostrana più tradizionale, non esitano a reclamare diritto di escursione verso territori ipoteticamente disomogenei eppure, nella realtà dei fatti, perfettamente in sincrono per considerevoli intenzioni di aggiornamento nei confronti di stile e modalità di scrittura.
Ecco manifestarsi, allora, il motivo per cui Curci non esita a partire, certo, da una forma attualmente consona in termini di cantautorato marcatamente pop, per poi reputare, però, ampiamente necessario divergere, anche se mai completamente, verso ulteriori forme evolutive legate tanto al suono quanto alla cesellatura di solide basi di appoggio per strutturazioni anche testuali di notevole impatto emotivo e sensoriale. È il caso, ad esempio, di incursioni elettroniche saldamente legate a stratificazioni e spazializzazioni sonore tutt'altro che secondarie (Che sia la notte), ispirazioni stilstiche tanto di marca Pacifico quanto lievemente battiatiane (Come ragazzi insolenti), echi battistiani coniugati alla Colapesce Dimartino più concettualmente in forma (Wind day) o inclini a una contaminazione che qualche volta chiama in causa De Gregori (Mezza minotauro) e in altri casi preferisce esplorare terreni già ampiamente coltivati ma comunque utili alla causa umorale (il sentore, per quanto trasformato in tricolore, del Nick Cave sia malaticcio – Paese fragile, Prima – che riflessivo – Quello che ci divide – per quanto inserito in coniugazioni ampiamente elettro-space-pop di matrice wave).
Non mancano anche splendide e delicatissime ballate puramente pianistiche (Bastano briciole) né approfondimenti marcatamente synth pop su ispirazione a metà via tra i Bluvertigo meno eccentrici e il primissimo Morgan solista (La comunione dei vivi) in quello che, a tutti gli effetti, rappresenta uno dei migliori prodotti nostrani degli ultimi anni, indubbiamente meritevole di riflettori sempre più luminosi e palcoscenici sempre più importanti e utili per capacità di divulgazione.
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