Ma che bell'esordio per White Ear, al secolo Davide Fasullo, che con questo Right Here mi ha davvero sorpreso! Grazie infatti a un originalissimo impasto fatto di elettronica sperimentale che racchiude, anche su disco, una dimensione live molto forte, White Ear rende rotondo e intrigante ogni suo pezzo, a partire dall'ultimo, il mio preferito, ovvero "Last Call". Per comprendere il fatto della dimensione, per così dire, performativa, dell'artista, mi preme citare direttamente la sua biografia: "un live-set di strumenti elettronici ed acustici. Suoni e beat sono generati e manipolati in tempo reale in un flusso di brani che si susseguono come in un dj-set, con lente sovrapposizioni e variazioni di velocità. Le griglie ritmiche e i paesaggi sonori sono spesso suggeriti da campioni tagliati sul momento o frammenti di registrazioni ambientali".
Avete capito insomma come siamo davanti a qualcosa di molto particolare che, nonostante la dimensione anche sperimentale della proposta, si lascia ascoltare anche da chi, magari, è un po' profano nei confronti di una ricerca e dei suoni e degli arrangiamenti così avanzata.
“Il rumore bianco, in inglese ‘white noise’, è un suono che contiene tutto lo spettro di frequenze, molto simile al rumore del mare o del vento. Partendo da questo concetto il nome White Ear, ‘orecchio bianco’, vuole intendersi come un ascolto che accoglie ogni suono circostante. Un’apertura che si trasferisce in senso più ampio nei testi, come in ‘Eyes wide up’ che invita a non abbassare gli occhi o chiudere le braccia di fronte a situazioni di sofferenza che non sembrano appartenerci, ma che richiamano un senso di responsabilità irreprimibile".
Tuttavia, forse (o almeno per me), il merito più grande di White Ear è di rendere la già citata "ricerca musicale" tremendamente sexy, ecco perché, in fondo, questo è un disco pure sentimentale.
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