Due. Il numero del blues. Ma anche il due di picche. Cioè il paradiso e l’inferno. O, a volere essere corretti, l’inferno giusto e quello ingiusto. Bentornati Mojomatics. Era giusto che dopo aver messo la firma nel librone della Alien Snatch!, etichetta di culto tedesca per gli amanti del garage-punk’n’roll, tornaste a casa per giocarvi le vostre carte. Perciò benvenuti nella grande famiglia delle etichette indie. Dopo anni spesi in giro per i palchi di tutta Europa, il doppio asse veneto viene calato da una coppia di nuovi astanti cremonesi: I Dischi de La Valigetta. Gente tranquilla che ama la musica. E’ così che anche in Italia entra nel giro delle “chitarrine sbilenche e non accordate” anche qualcuno che suona alla vecchia maniera. Gente che si è fatta il culo su è giù dai palchi per anni, senza avere una grande visione d’insieme del presente e con uno spirito sostanzialmente roots.
Con i Mojomatics non c’è da andare a cercare il futuro, come obiettivo imprescindibile per l’entropia artistica. C’è la possibilità, semmai, di rimembrare il miglior passato. Perchè solo lì stanno le sole cose buone. E loro ne lucidano le parti consunte e ne rispolverano l’indomito fascino. Il tutto con una verve incendiaria, un piglio melodico di quelli rari e una attitudine retrocool al 100%.
Difficile capire chi siano gli “amanti lontani” di questo disco. Si presume possano essere due. E non sarebbe un caso. Ma chi lo sa. Di sicuro lontano è quel rock’n’roll delle origini, vicino al fuoco sacro dei Rolling Stones ma anche al cuore ritmico di Woodie Guthrie. Senza però dimenticare una professione quotidiana che non può prescindere da ascolti garage e lo-fi che danno una coloritura al tutto non revivalistica. Si tratta dunque di musica d’oggi suonata come in altri tempi, e non viceversa. Come se un riverbero vintage si fosse posato nel dna di labbra supergiovani. E’ la cravattina nera rubata alla cassa dei vestiti del nonno, dalla storia vissuta e il gusto sofisticato. E’ l’alcolicissima festa country di un paese inesistente dove non ci si può andare, ma semplicemente ci si trova. E’ una casa in cui è ammesso amare Bob Dylan nonostante Ernesto Assante faccia di tutto per portarcelo alla nausea, e in cui si può vestire a pois senza necessariamente essere un fan dell’ultim’ora delle Pipettes. Insomma, qui non c’è fashion: probabilmente le riviste trendy che hanno deciso quanto il rock’n’roll sia hype in questo momento nemmeno s’accorgeranno della loro esistenza. C’è però stile da vendere e una grande capacità di songwriting. Certo, non ci si inventa nulla. Ma che scrittura. Che pacca. Che personalità. Tutto quello che serve a fare di una buona band una ottima band. E di buone canzoni, ottime canzoni.
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