Emanuele Triglia
Seven Beats I Forgot 2023 - Soul, Jazz, Funk

Seven Beats I Forgot
21/04/2023 - 22:47 Scritto da Stefano Gallone

Apparentemente incompleto e aleatorio, il nuovo lavoro di Emanuele Triglia mette in tavola un concreto discorso sul tempo e sull'evoluzione di un'idea di sé artistico

Dai solchi digitali del nuovo Ep firmato Emanuele Triglia emerge gran parte di ciò che manca a molti esponenti – o sedicenti tali – di una concezione più o meno sperimentale relativa all'approccio a un determinato genere musicale, ancor di più se predisposto fin dalle origini a operazioni di più o meno volontaria manipolazione finalizzata alla scoperta di nuove vie maestre da percorrere all'insegna della sacrosanta contaminazione. Continuare a sperimentare con forme provenienti da fattezze originariamente jazz è forse un'intenzione che rischia, ogni giorno sempre un po' di più, di sfociare nel parossismo e nel mero suonarsi addosso, quasi rinunciando per cause di forza maggiore a una ricerca magari meno potenzialmente futuristica ma, se non altro, consona a una graduale apertura verso ulteriori possibilità che non siano etichettabili come nuove non essendolo nel contesto.

Una potenziale soluzione al disfacimento di pur buoni spunti persi di vista in favore di un rischio di fallimento di sincere e puntuali intenzioni, allora, può essere proprio quella presa in esame per un lavoro come Seven beats I forgot, all'interno delle cui trame l'artista calabrese di stanza a Roma riesce a mettere nero su bianco una serie di veri e propri appunti di percorso riemersi dal cassetto e riordinati con un preciso criterio comunicazionale, ma senza la presunzione di farne base suprema per chissà quali direzioni innovative suscettibili di noiosa e sterile inadeguatezza sostanziale.

Ecco perché l'elemento più affascinante attribuibile a un discorso come quello avanzato da Seven beats I forgot, oltre a quello sonoro in sé, è forse riscontrabile nello scorrere del tempo che lega ogni singolo tassello dell'opera, ognuno dei quali aderisce a una precisa derivazione collocata in un frangente spaziotemporale che annulla il concetto di passato e presente per trasformare la contemporaneità esecutiva in un continuo divenire di forme che testimoniano un vissuto, più che un contenuto.

Quanto al suono in sé, si susseguono esistenzialisticamente esternazioni poliritmiche su pilastri portanti in continuo bilico tra animosità jazzistiche free e spinose costellazioni simil-funk (Dreams), sofisticatezze su confini 'davisiani' in flirt con modernità soul-afro-prog-fusion (Gold sud), considerevoli prestiti trip hop in corpose acidità psico-funk (Inky) e apparentemente docili ma in verità fulminanti intuizioni latineggianti (Aguacate).

Rispondono all'appello, però, anche imprescindibili spinte su acceleratori animistici di matrice soft-house ed etno-downtempo con sfumature da loop elettronici (Always the same never the same) che proseguono il discorso frammentario attraverso ulteriori sperimentalismi con maggiore piglio da trip allucinogeno (Blossoms) e portano a compimento la missione con la complicità di raffinatezze pseudolounge pianistiche dense di velleità ambient-beat di gran pregio sia stilistico che puramente emozionale (Pillow).

Certo, ad un primo contatto la sensazione può essere quella di ritrovarsi dinanzi a qualcosa di incompleto e aleatorio, ma è proprio questo il punto: conviene ascoltare un album considerandolo esclusivamente in quanto prodotto musicale o scegliere deliberatamente di farlo lasciandosi avvolgere dalla percezione di avere a che fare con qualcosa di vivo e pulsante qui e ora?

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